Page 107 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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Popolazione e nazionalità
vera il “pietismo” dei militari italiani verso serbi ed ebrei, causa della profonda
incomprensione con l’alleato croato. Secondo l’incaricato d’affari l’intervento dei
militari italiani, contrario all’azione delle autorità croate e degli ustaša in partico-
lare, condiziona sensibilmente i rapporti italo-croati provocando incidenti quoti-
diani, di cui alcuni gravi, e un’atmosfera di netta avversione alle truppe italiane da
parte degli elementi del regime. Nei confronti delle politiche interne del governo
di Zagabria – sostiene Casertano – era auspicabile che le autorità militari italiane
mantenessero il più assoluto riserbo, lasciando da parte “incomprensibili forme di
sentimentalismo”. Ogni ostacolo opposto agli ustaša rappresentava causa di ma-
lanimo e deplorevoli incidenti: era dunque necessario cessare ogni qual forma di
favore verso serbi ed ebrei e richiamare l’attenzione della 2ª Armata sulle finalità di
“amichevole collaborazione” dell’occupazione italiana. 9
Le considerazioni di Casertano saranno sostenute dal colonnello Gian Carlo Re,
addetto militare presso la Legazione italiana a Zagabria. Re costata che il movi-
mento ustaša, giunto al potere con una minoranza di uomini senza seguito popolare
o una solida base politica, avrebbero potuto conservare il potere solamente con la
forza. Se cattolici e musulmani erano considerati “cittadini di diritto” del nuovo
Stato croato, serbi ed ebrei costituivano l’elemento da eliminare e per tale motivo
il regime ustaša aveva avviato contro di loro la nota politica di repressione che le
rivolte interne contribuivano a rendere ancora più spietata. Pertanto qualsivoglia
atto protettivo o favorevole rivolto a serbi ed ebrei sarebbe stato automaticamente
interpretato come una manifestazione anti-croata: il governo di Zagabria accusava
i militari italiani di aver favorito l’esodo di famiglie serbe ed ebree ricoverando i
perseguitati in Dalmazia, e che Spalato, grazie a tale afflusso di fuoriusciti, fosse
divenuta “il baluardo dell’anti-croatismo”.
Soprattutto, con il passare del tempo sempre più frequenti e organizzati diven-
teranno gli episodi di collaborazione tra četnici e truppe italiane. Entrambi hanno
nel movimento partigiano il nemico comune contro il quale unirsi. I četnici si rivol-
geranno alla 2ª Armata per ottenere viveri e armi, necessari alla lotta antipartigiana
ma anche a difendere le proprie abitazioni e famiglie dagli ustaša e condurre a loro
volta azioni di rappresaglia nei villaggi croati e musulmani. Alcune bande serbe che
collaborano con gli italiani saranno trasformate in una sorta di milizia ausiliaria, la
Milizia Volontaria Anticomunista (MVAC), del tutto dipendente dalla 2ª Armata.
Nel marzo del 1943 gli uomini delle bande serbe e delle milizie volontarie alle di-
pendenze del comando italiano arriveranno ad essere circa trentamila.
Un atteggiamento di aperta collaborazione con le truppe italiane è dimostrato fin
da subito dal serbo-bosniaco Dobroslav Jevđević, proprietario di redditizie tenute
con un notevole trascorso politico alla Skupština. Crollata la Jugoslavia, Jevđević
9 Ibidem, b. 1493 (AP 28), R. Legazione Zagabria, a Gab.A.P. (U.C.), telegramma 7901 R.,
segreto non diramare, f.to Casertano, Zagabria, 1 agosto 1941-XIX.
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