Page 204 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


            uomini che hanno con la morte e il dolore una consuetudine quasi giornaliera, tale
            da ottundere il comune senso morale e la istintiva ripugnanza che l’uomo ha per il
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            sangue e la sofferenza altrui .
               Ma quanto era legale in realtà l’azione repressiva italiana? Ovvero, quali azioni
            nel dettaglio possono essere considerate giuridicamente dei crimini e quali effet-
            tivamente erano comprese  in quello che allora era il concetto di bellum iustum,
            ovvero di “guerra secondo le leggi”?
               In effetti il diritto di guerra era già all’epoca meno laconico di quanto ai militari
            italiani piacesse immaginare.
               In linea generale tutti gli Stati convenivano che in zona di guerra gli unici abi-
            litati a portare le armi fossero i soldati belligeranti oltre alle forze di polizia che,
            soggette all’autorità militare, propria o occupante, concorrevano al mantenimento
            dell’ordine. Tuttavia, la resistenza armata della popolazione all’invasore non pote-
            va essere considerata fuori legge. Benché tale punto sia tradizionalmente indigesto
            a tutti coloro che devono mantenere l’ordine in un territorio occupato, la Conven-
            zione dell’Aja del 1907 consentiva, a certe condizioni, ai cittadini di uno stato di
            riunirsi in milizie per partecipare alla guerra. Troppo forte era del resto la memoria
            della resistenza tedesca a Napoleone o di quella francese ai prussiani nel 1870
            perché le potenze dell’epoca sconfessassero totalmente un mezzo di lotta che tutti,
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            prima  o dopo, avevano adoperato .
               Le milizie popolari erano dunque ammesse per il diritto internazionale, a patto
            che si attenessero alle leggi di guerra, che indossassero un'uniforme o almeno dei
            segni riconoscibili di grado e appartenenza e che, sia pure organizzate in distac-
            camenti indipendenti –da cui il termine partisans o “frazionati”-  fossero soggette
            al comando militare centrale del loro Paese. In osservanza di tutte queste norme, i
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            “partigiani” catturati dovevano essere trattati come prigionieri di guerra . In ogni
            altra circostanza, tutti gli eserciti li consideravano come combattenti illegali che,
            se catturati, potevano essere giustiziati dopo procedimento sommario o trattenuti
            come ostaggi.


            79  DAVIDE RODOGNO, Il nuovo ordine mediterraneo, cit., pp. 218-219.
            80  GASTONE BRECCIA, Storia della guerriglia, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 47-59 e n.
               46 p. 60. I tedeschi, pur essendo stati, con gli spagnoli, i primi a combattere una “guerra di
               popolo” su vasta scala contro Napoleone, furono però anche i più riluttanti ad ammetterne
               la legittimità, ciò probabilmente per il fatto che nella memoria militare tedesca il confronto
               con la guerra per bande fosse assai più vivo che per gli altri belligeranti, avendola dovuta
               affrontare nella guerra del 1870-71 in Francia e poi di nuovo nella Grande Guerra. LUCA
               BALDISSERA, Giudizio e castigo. La brutalizzazione della guerra e le contraddizioni della
               “giustizia politica”, cit., p. 31.
            81  4ª Convenzione dell’Aja del 1907. Sezione I, Capitolo I, Articolo 1; 3ª Convenzione di Gi-
               nevra del 1929, Parte I, Articolo 4.

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