Page 199 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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Memoria dell’occupazione


             se da una parte il saccheggio era ampiamente praticato da tutti, italiani compresi,
             le camice nere non percepivano, malgrado la cosa sia ampiamente creduta ancora
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             oggi, alcuna indennità speciale rispetto agli altri soldati .
                L’impressione che si ricava, tipica di un esercito dove i tradizionali meccanismi
             di appartenenza e di cooperazione faticavano a funzionare, e che la risorsa del ca-
             meratismo “locale” avesse soverchiato nei soldati qualunque altro legame; anche
             gli alpini infatti sono piuttosto invisi, a causa della loro maggiore libertà di azione:
             “potevano uccidere tutti quelli che incontravano. Noi no! Anche se ci stavano fa-
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             cendo fuori come polli ”.
                Come al solito, i sistemi dei tedeschi sono deprecati, ma al tempo stesso invidia-
             ti, soprattutto per la loro efficiente leadership:
                      “Fascisti e generali sono stati le nostre più gradi disgrazie. […] Quanti
                   tradimenti abbiamo avuto! E la disorganizzazione! Che differenza rispet-
                   to ai tedeschi […] noi non abbiamo trovato nessuno. I tedeschi invece
                   sono intervenuti con i lanciafiamme, hanno bruciato 10 km quadrati di
                   pineta dove si erano nascosti i ribelli. Dopo quell’episodio non è stato
                   ammazzato più nessun portaordini” .
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                Un capitolo a parte è dato dai rapporti dei soldati con i superiori. I rapporti con
             gli ufficiali a volte sono buoni, ma alcuni sono odiati perché non si espongono al
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             fuoco . Spesso critici sono invece quelli con la classe dirigente in Patria. Fra gli
             uomini circola la persino voce che la regina Elena, montenegrina, abbia convin-
             to Mussolini a liberare tutti i prigionieri di guerra jugoslavi “che ora ci sparano
             addosso” .
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                La visione che il soldato italiano offre dei propri superiori, dedotta anche dalle
             sue conversazioni in prigionia, è molto spesso negativa. Soprattutto dai racconti si
             evince la distanza fra i due mondi, quello del militare di truppa e quello dell’uffi-
             ciale, nel quale solo alcune volte i soldati riconoscono una guida affidabile ed un
             esempio di virtù militari .
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                 La sconfitta subita certo inacerbiva questo tipo di riflessioni, ma è singolare che
             di tutti i prigionieri presi dagli Alleati soprattutto gli italiani si caratterizzassero per


             67  Nella memoria locale gli italiani vengono associati ancora molti decenni dopo la guerra alla
                loro propensione alla ruberia e all’incendio delle case, mentre il ricordo dei tedeschi è lega-
                to alla fredda violenza delle loro rappresaglie. GOBETTI E., L’occupazione allegra, cit., p.
                178.
             68  F. FATUTTA, P. VACCA, La guerra dimenticata della Brigata Sassari, cit., p. 59.
             69  Ivi, p. 60.
             70  Ivi, p. 81.
             71  Ivi, p. 74. Mario Anedda.
             72  S. NEITZEL, H. WELZER, Soldaten, cit., p. 324.

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