Page 196 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.
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contro i croati di Pavelic e le mancanze dei comandi . Molto frequente è invece il
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lato romantico e sentimentale della permanenza in Croazia . Come molti dei suoi
colleghi infatti, anche il protagonista aveva intrecciata una relazione con diverse
ragazze del posto, una delle quali, Annika, si rivelerà provvidenziale all’otto set-
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tembre . È questo un fenomeno comune a tutte le guerre, ma che è spesso coperto
da una coltre di comprensibile riserbo, soprattutto per ciò che riguarda legami fra
“occupati” e “occupanti”.
Frequenti soprattutto nelle zone abitate da serbi, dove la diffidenza della po-
polazione era minore, le relazioni sentimentali fra italiani e donne jugoslave sono
accennate nei ricordi dei reduci ogni volta che dal piano militare il racconto si af-
faccia nella quotidianità della vita in guerra. Gli italiani erano coscienti che molte
donne erano informatrici dei partigiani, cosa dalla quale la propaganda non cessava
di mettere in guardia, ma un vero divieto di frequentare stabilmente le donne locali,
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come in Africa invece esisteva, non ci fu mai .
Alcune relazioni, del resto, nascevano dalla coabitazione sotto lo stesso tetto;
dove le circostanze lo consentivano, infatti, gli ufficiali italiani abitavano presso
famiglie locali “fidate”, per le quali la presenza di un ufficiale poteva significare
protezione contro i soprusi della polizia ustaŝa, permessi per poter circolare e qual-
che aiuto materiale. L’ufficiale italiano, ed in misura minore il soldato, erano infatti
provvisti di mezzi relativamente ampi, soprattutto nel contesto della Jugoslavia
bellica, fattore questo che in molti casi facilitava l’approccio alle donne locali e,
al contempo, non aumentava la popolarità dei soldati stranieri fra la popolazione
maschile.
Deprecata spesso dalla storiografia recente, la tradizionale inclinazione al “gal-
lismo” accreditata al soldato italiano, che orginò il famoso soprannome “armata-ti-
amo” per l’11ª Armata in Grecia, va inserita in un duplice contesto di ristrettezze
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materiali della popolazione e di solitudine, affettiva oltre che sessuale, dei militari .
56 “Nelle scuole eravamo stati preparati sui plastici e sui manuali per il classico tipo di guerra
frontale, non per la guerriglia”. F. MAFRICI, Guerriglia sulla ferrovia del petrolio. (Croazia
1942-43), Napoli, Loffredo, 1981, p. 123.
57 Ivi, pp. 31, 46, 82, 115.
58 Ivi, p. 269-272.
59 Anche fra i soldati non era un mistero il ruolo delle donne per l’organizzazione partigiana:
“Noi italiani eravamo proprio diversi. Quando vedevamo passare una bella ragazza diceva-
mo Hajde, Hajde lasciala passare. E quelle portavano bombe e armi nascoste. I tedeschi in-
vece le controllavano, e se trovavano armi le uccidevano sul posto”. F. FATUTTA, P. VAC-
CA, La guerra dimenticata della Brigata Sassari, cit., p. 60. Lo stesso Vittorio Gorresio ri-
corda di aver visto la lettera di un soldato che raccontava la fucilazione di due donne sorprese
a trasportare armi dentro una carrozzina. GORRESIO V., La vita ingenua, cit., p. 212
60 Nel libro di Eric Gobetti L’occupazione allegra, ad esempio, i rapporto dei soldati italiani
con l’elemento femminile viene presentato sotto una duplice forma, comunque non benevo-
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