Page 198 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


            quanto si può immaginare, giorno dopo giorno, in un contesto di squallore materia-
            le e di progressiva sfiducia, alimentata dalle notizie che giungevano da casa.
               Un caso particolare è offerto dai soldati sardi della divisione Sassari, le cui te-
            stimonianze sono state raccolte in un libro edito nel 1994.  La divisione era l’unica,
            a parte i reparti alpini, ad aver un reclutamento regionale, ad essere formata cioè
            da soldati provenienti dalla stessa area geografica. I soldati venivano dunque dagli
            stessi paesi, spesso si conoscevano e comunicavano in dialetto, che gli ufficiali,
            quasi tutti triestini, non comprendevano. Questi elementi conferivano all’unità una
            solidità ed un amalgama superiori alle altre divisioni italiane, così come la pro-
            venienza sociale dei soldati, tutti pastori o contadini con pochissimi “cittadini”,
            conferiva loro una “affidabilità” politica particolare agli occhi dei comandi che
            non avevano da temerne fraternizzazioni con la popolazione o diserzioni. Anche
            le testimonianze dei partigiani, alcune delle quali riportate nel libro, sono concor-
            di: i soldati sardi erano decisamente più temuti rispetto agli altri soldati italiani,
            soprattutto perché combattevano anche corpo a corpo, armati della baionetta o del
            coltello. Ecco come un partigiano ricorda i soldati nemici che si trovò ad affrontare:
                     “Ho combattuto contro i tedeschi; sapevano combattere bene ma solo
                  quando erano in molti e ben organizzati. Avevano buoni ufficiali e sot-
                  tufficiali ed erano molto disciplinati. […] Gli italiani ci facevano meno
                  paura. Non erano così armati e neppure ben equipaggiati come i tedeschi.
                  Però erano molti. Avevano un comportamento discontinuo. O scappava-
                  no subito o erano pronti a farsi ammazzare con l’arma in pugno e allora
                  diventava dura, perché erano capaci di farsi sotto e sapevano usare la
                  baionetta maledettamente bene” .
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               Un punto di orgoglio quello di combattere il nemico anche da vicino, che i sol-
            dati rivendicavano anche verso l’arrogante alleato:
                     “Noi non siamo mai andati d’accordo coi tedeschi. Non siamo mai
                  stati assieme ma abbiamo operato in zone vicine. I tedeschi sono traditori.
                  Altro che italiani traditori! In combattimento coi partigiani scappavano
                  loro. Non sapevano neanche cosa voleva dire combattimento all’arma
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                  bianca” .

               E del resto i rapporti dei soldati sono difficili con tutti, oltre che con i tedeschi,
            che secondo gli italiani avevano “licenza di saccheggio”, anche con i fascisti che
            guadagnano “quattro volte di più” . Entrambe le accuse per altro sono discutibili:
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            64  F. FATUTTA, P. VACCA, La guerra dimenticata della Brigata Sassari, cit., p. 108. Ratislav
               Bojovic.
            65  Ivi, p. 127. Gesuino Cauli.
            66  Ivi, p. 186-187. Ponziano Ferreli.

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