Page 194 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


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            tabile delle rappresaglie; la doppiezza e la brutalità dei tedeschi .
               Un quadro articolato e interessante, e al quale gli storici hanno attinto solo per
            ciò che atteneva le testimonianze dei crimini di guerra, è offerto da Due anni fra
            le bande di Tito, una raccolta di racconti di ufficiali passati attraverso la prigionia
            dei partigiani. Curato da uno dei reduci della guerra, Maurizio Bassi, il libro è una
            delle testimonianze più vive ed equilibrate fra quante ne sono pervenute. Fra gli
            ufficiali che parlano alcuni mostrano di aver maturato una certa comprensione per
            le motivazioni dei partigiani, altri sono rimasti tetragoni nelle certezze della prima
            ora. Tutti comunque hanno avuto l’occasione di vivere dall’interno  e quindi di con-
            dividere, la vita dei partigiani, sia pure dalla prospettiva più scomoda e pericolosa
            del prigioniero addetto ai lavori pesanti. Ne emerge un mondo partigiano molto
            organizzato ed articolato, con strutture scolastiche, corsi di istruzione per ufficiali,
            organi di stampa, e tutto retto da una disciplina meticolosa e austera di stampo
            asburgico più che balcanico. Su tutto, però, incombe la presenza dell’ideologia
            marxista, pervasiva, ottusa, a tratti quasi grottesca.
               Uno  degli aspetti che non tarda a colpire gli italiani  è il ruolo della donna
            nell’organizzazione partigiana. Provenienti da un mondo come quello italiano dove
            il ruolo politico e militare è rigidamente confinato al mondo maschile, la presenza
            femminile, spesso anche giovane, è una novità assoluta per i giovani ufficiali. Al-
            cuni la giudicano come una ennesima prova del disordine portato dalla rivoluzione
            comunista, altri vi vedono, una reazione delle donne alla struttura patriarcale e
            maschilista della famiglia balcanica. Per i primi la donna partigiana è un essere
            quasi malefico, nel quale l’ideologia ha estinto o quasi la femminilità, che pure non
            sembra essere indifferente all’osservatore: “Erano alte, belle forti, ardite, brune e
            dallo sguardo spietato”, e conclude poco dopo: “Nel loro sguardo non vi era nulla
            di umano, nulla di quella grazia femminile che rende la donna tanto attraente. Come
            il fanatismo politico aveva potuto trasformare tanto quelle due ragazze ” ?
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               Un’altro dei protagonisti spiega di aver notato come nei Balcani la donna sia in
            genere più feroce dell’uomo, aggiungendo, con finto scandalo, come la promiscuità
            nelle bande partigiane sia molto frequente. Durante una sosta delle interminabili
            marce in montagna, l’italiano si era sdraiato a riposare fra due giovani partigiane
            spalatine, incaricate di sorvegliarlo. Una delle due gli disse in tono di canzonatura:
            “Non vi sareste mai immaginato di dormire fra due ragazze all’aria aperta così
            come si fa noi fra compagni comunisti. Io guardai ma non dissi niente. Certo mi
            convincevo che a parte qualsiasi dottrina politica e qualsiasi tendenza, vi era un
            ordine spirituale che ci separava”  .
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            50  GIUSEPPE ANGELINI, Fuochi di bivacco in Croazia, Roma, Tip. Regionale, 1946.
            51  M. BASSI, Due anni fra le bande di Tito, Bologna, Cappelli, 1950, pp. 217.
            52  Ivi, pp. 247-249, 252-253.

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