Page 192 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


            gli italiani. La scelta di aderire alla RSI è motivata con la difesa della italianità di
            Zara più che come una volontà di proseguire una guerra di conquista. Una scelta
            quasi obbligata quindi, con la quale l’autore rovescia la sua condizione di solda-
            to “occupante” per tramutarsi nel difensore di un frammento di Patria minacciata
            dall’occupazione straniera, croata, tedesca o partigiana poco importa.

               L’idea della difesa dell’”italianità” in terra straniera caratterizza anche le memo-
            rie, assai meno corpose, di un altro reduce, Teodoro Francesconi, lui pure coman-
            dante di bande MVAC. Anche Francesconi non si discosta da una analisi oggettiva
            della situazione in Dalmazia e della insufficienza dell’apparato militare italiano. La
            sua descrizione del modus operandi dei partigiani è, a suo modo, illuminante:
                      “Stabilito l’obbiettivo, per esempio l’attacco a una autocolonna for-
                  te di sei camion e duecento uomini, la formazione partigiana, non più
                  di trenta-quaranta uomini, predisponeva il blocco stradale, stornava una
                  parte notevole del gruppo d’azione con mansioni di sicurezza e procedeva
                  all’attacco diretto con dieci-quindici uomini. I nostri non addestrati ade-
                  guatamente, mal comandati, non selezionati per spedizioni di controguer-
                  riglia, ai primi colpi reagivano con un uragano di fuoco, sparando a caso
                  e frettolosamente, più per farsi coraggio che per colpire. Loro, opportu-
                  namente appostati, consumavano con parsimonia una dozzina di colpi a
                  testa, accuratamente mirati. Dopo dieci minuti una ventina di nostri erano
                  colpiti, buona parte delle munizioni esaurite ed i partigiani potevano al-
                  lontanarsi senza perdite, considerando conclusa l’azione, o perseverare,
                  con ampie possibilità di annientare il nostro reparto”.

               Anche le crudeltà dei partigiani sui prigionieri sono inquadrate in una strategia,
            dacché oltre a spaventare il nemico servono a radicalizzare lo scontro, rendendo la
            rappresaglia inevitabile  contro i civili “spesso innocenti e ignari che, in definitiva,
            non avevano altro scampo che darsi alla macchia solidarizzando coi partigiani” .
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               Non manca nemmeno un accenno alle repressioni italiane che, seppure sostan-
            zialmente giustificate, rimangono nella memoria come un ricordo doloroso:
                      “Nella sostanza però la situazione è estremamente grave. L’ostili-
                  tà dei cittadini delle città annesse è palese; essi respingono totalmente
                  l’annessione e sono disposti ad opporsi con la violenza agli occupanti o
                  quanto meno ad una complice omertà con gli attivisti. D’altra parte le au-
                  torità militari italiane sono poco efficienti, con una molteplicità di centri
                  di decisionali che permarrà fino all’armistizio. Inoltre ci imbarca in una
                  politica repressiva che, anche se può essere definita consona ai tempi, è



            43  TEODORO FRANCESCONI, Le bande V.A.C. in Dalmazia. 1942-43, Milano, Editrice Mi-
               litare Italiana, p. 15.

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