Page 203 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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Memoria dell’occupazione


                Una ovvia obiezione che si può opporre alla versione di una violenza italiana
             motivata da quella dei partigiani è che questi ultimi agivano in piena legittimità,
             combattendo in difesa del proprio paese invaso, mentre gli italiani erano in una
             posizione moralmente condannata fin dall’inizio, essendo quella degli aggressori e
             degli alleati del criminale regime di Zagabria.
                Moralmente, tale giudizio non è opinabile né potrà esserlo in futuro. Se tuttavia
             si considera la questione giuridicamente, come è inevitabile se si parla di “crimini”,
             esso è anche piuttosto problematico. Non esiste infatti nel diritto di guerra alcuna
             disposizione che distingua i belligeranti fra “aggressore” ed “aggredito”: entrambi
             sono vincolati al rispetto delle medesime garanzie verso i prigionieri e la popola-
             zione civile, ed entrambi, almeno in teoria, sono ugualmente perseguibili in caso di
             mancanze a tali garanzie .
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                Le azioni dell’aggredito non sono dunque tutte giustificate per il solo fatto che
             egli sia dalla parte della ragione così come quelle dell’aggressore non sono tutte
             condannabili per la ragione opposta.
                È questo un punto assai importante per spiegare la posizione morale dei militari
             italiani, soprattutto gli ufficiali, che, privi delle molle motivazionali dei loro omo-
             loghi tedeschi, si prestarono ugualmente all’esecuzione di ordini che avrebbero
             dovuto confliggere con il loro usuale senso etico.
                Tranne casi facilmente individuabili, la maggior parte degli italiani erano ef-
             fettivamente convinti, nel condurre la repressione, di porre in essere una azione
             legittima, magari  indigesta per la coscienza ma conforme ai doveri militari. Anche
             coloro che mostravano più scrupoli, in genere non tardavano ad adeguarsi alla con-
             dotta di un conflitto senza regole, dove si procedeva per agguati e delazioni, e dove
             il nemico sembrava farsi sempre più sicuro, temibile e brutale .
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                Giocò ovviamente un suo ruolo anche quella progressiva assuefazione alla vio-
             lenza di cui sono protagonisti i militari impegnati direttamente nelle operazioni,


                sull’Adriatico, cit., p. 341.
             77  A questo riguardo è significativo però che nel dopoguerra, nel corso dei procedimenti istrut-
                tori del processo di Norimberga, venisse messo a punto, ad opera del colonnello William
                Chanler, il concetto giuridico di “illiceità della guerra offensiva”, in forza “di una “interpre-
                tazione estensiva del Patto Briand-Kellog, che, stabilendo la rinuncia allo strumento della
                guerra, implicitamente avrebbe sancito che chi avesse scatenato un conflitto avrebbe perciò
                perso il principio di belligerante legale”. LUCA BALDISSERA, Giudizio e castigo. La bru-
                talizzazione della guerra e le contraddizioni della “giustizia politica”, in: Giudicare e Puni-
                re, a cura di LUCA BALDISSARA e PAOLO PEZZINO, Napoli, L’Ancora del Mediterra-
                neo, 2005, p. 43.
             78  “[…] i soldati italiani individuarono nella «disumanità» dimostrata nella guerra dai partigia-
                ni il motivo che li autorizzava all’utilizzo massiccio della violenza, indirizzata senza tante
                remore anche contro i civili, considerati conniventi con gli insorti”.F. FOCARDI, Il cattivo
                tedesco e il bravo italiano, cit., p. 133.

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