Page 153 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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vato le divise kaki adottate in Cina e che sarebbe stata isolata dagli altri. Essa
venne chiamata “Compagnia borghesi”, ai suoi componenti era richiesta la sola
firma della cittadinanza italiana, ed essi sarebbero stati rimpatriati quando pos-
sibile dopo i militari.
Per quelli che avessero aderito, ma che fossero stati giudicati troppo vecchi
o inabili al combattimento venne creata una seconda compagnia, vestita del
grigio-verde e con le stellette, per la quale era previsto il giuramento. Questi
ultimi sarebbero stati addetti ai servizi del contingente italiano e sarebbe stata
rimpatriata prima possibile.
L’ultima compagnia sarebbe stata quella “combattente”, la quale avrebbe
avuto, dopo il giuramento, divisa grigio-verde e mostrine rosse, per differen-
ziarla dai battaglioni neri, e sarebbe stata impiegata in servizi armati.
L’opera di reclutamento dei prigionieri venne ripartita quindi in tre fasi: la
raccolta delle adesioni, la verifica dell’italianità, ed infine la destinazione al
futuro reparto combattente o a quello logistico. Per gli ufficiali giudicati idonei
venne istituito fin dalla metà di gennaio 1919 un corso accelerato, tenuto da
alcuni degli ufficiali giunti dall’Italia.
Mentre le settimane passavano però, il numero degli aspiranti irredenti era
destinato a salire ancora, con l’arrivo da Omsk di altri 300 presunti sudditi ita-
liani .
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Non potendo sbrigare l’intero lavoro con l’ausilio del solo Bazzani, a Ma-
nera vennero assegnati un gruppo di ufficiali dei Carabinieri, giunti il 2 feb-
braio dall’Italia col solito piroscafo Roma. Inizialmente inviati dall’Italia per
inquadrare il corpo di polizia militare di Vladivostok, questi ufficiali erano però
giunti in Estremo Oriente con diverse settimane di ritardo, e l’incarico cui erano
destinati era stato già assunto dagli americani. Si decise quindi di assegnarli alla
Missione per i prigionieri con il compito di vagliare gli aderenti alla Legione e
di sorvegliarne l’inquadramento.
Il loro approccio con gli ufficiali redenti, con gli stessi ex-prigionieri ed in
generale con la realtà di Vladivostok non fu facile. All’atto di iniziare la cernita
Manera si era raccomandato ai suoi nuovi collaboratori circa i modi e le parole
da usare. Non gli sfuggiva infatti che quanti ancora si trovavano nei campi assai
spesso non si fidavano degli ufficiali, e talvolta erano stati influenzati dalla pro-
paganda sovietica o tedesca mentre erano nei campi di prigionia.
265 La cifra appare decisamente esagerata, almeno se si vuole considerare quanti dei 300 erano effet
tivamente sudditi italiani.

