Page 54 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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52 Missione in siberia
Nessuno stupore dunque, che la pace di Brest-Litovsk cadesse addosso agli
Alleati come una tempesta destinata a sconvolgere i loro piani. Occorreva ripa-
rare al più presto.
Grazie all’aiuto americano, nel 1917 il comandante in capo degli eserciti
dell’Intesa, il maresciallo di Francia Ferdinand Foch, aveva deciso di piegare
l’alleanza austro-tedesca entro la fine del 1919 con una strategia a lungo respi-
ro: “la guerra dei materiali”, ovvero il progressivo accumulo di risorse e mezzi
militari impiegati in quantità tale da soverchiare le capacità produttive nemi-
che . Più aerei, più camion, più carri armati, più mitragliatrici sarebbero stati
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impiegati al posto delle immani ondate umane che avevano condotto più di una
volta gli eserciti sull’orlo dell’ammutinamento di massa.
Per ottenere ciò, tuttavia, era necessario tempo, e occorreva evitare che in
questo tempo la Germania potesse attingere alla Russia sconfitta risorse suf-
ficienti a sussidiare la propria economia di guerra aggirando il blocco navale
alleato. Questa era appunto l’ossessione di Churchill, che sarebbe stato da lì in
poi il più instancabile propugnatore della guerra ai bolscevichi: “Le condizioni
del trattato permettevano di capire che il blocco delle potenze centrali, a cui era
stato dedicato un immenso sforzo navale, era stato infranto. Evidentemente i
tedeschi avevano ora la Russia a propria disposizione” .
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Bisognava quindi cercare di sabotare la cooperazione russo-tedesca in
Europa orientale.
È in questo quadro che i vertici militari di Londra, Parigi, Roma e Washing-
ton cominciarono a considerare l’idea di intervenire in Russia, per appoggiare
quelle forze anti-bolsceviche che promettevano di proseguire la guerra contro
la Germania .
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Una pubblicazione italiana del 1918 nel sostenere le ragioni dell’intervento
alleato evocava l’immagine di una Germania che colonizzava l’intera Russia
con l’appoggio delle forze eversive che si annidavano nel cuore di essa: i rivolu-
zionari, i separatisti e, soprattutto, i grandi capitalisti ebrei, questi ultimi definiti
“germanofili” e “al servizio dello Stato Maggiore germanico” .
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83 Winston Churchill, convinto sostenitore di questo approccio “industriale” al conflitto, nel marzo
1918 garantiva a Loyd George che la superiorità industriale alleata avrebbe assicurato il succes
so: “È questo il fondamento su cui tutto poggia, e non c’è motivo per cui noi non possiamo otte
nere la vittoria nel 1919”. M. GILBERT, La Prima Guerra Mondiale, p. 488.
84 W. CHURCHILL, Crisi mondiale e grande guerra, cit., p. 79.
85 F. RANDAZZO, Alle origini dello Stato Sovietico, p. 67.
86 FRANCO CABURI, La Germania alla conquista della Russia, Bologna, Zanichelli, 1918, p.
299.
capitolo secondo

