Page 84 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                 sulla intangibilità del vecchio impero .
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                    L’ultimo gruppo, i generali reazionari, fu presentato dalla propaganda bol-
                 scevica come l’immagine stessa del fronte bianco, anche se ne fu in realtà la
                 componente più esigua.
                    Si trattava in genere di militari di buone capacità, alcuni fedeli allo zar, come
                 Nikolaij Yudenich e Anton Denikin, altri, come Lavr Kornilov, che forse aspi-
                 ravano a prenderne il posto. Scomparso il governo di Kerenskij questi generali
                 avevano iniziato una propria guerra partendo da regioni dove il controllo dei
                 rossi era malcerto: in Estonia Yudenich, nel Kuban Alekseev e Denikin, sul bas-
                 so corso del Volga il cosacco Denisov, in Siberia un altro cosacco, Semenov .
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                    Sotto le loro bandiere accorrevano per lo più vecchi ufficiali, giovanissimi
                 cadetti, cosacchi legati da un vicolo di fedeltà più al proprio comandante che
                 alla Russia, oltre a mercenari di dubbia fedeltà e nessuno scrupolo.
                    Se i vertici degli eserciti bianchi erano almeno in gran parte composti da
                 fedeli zaristi, le loro truppe non erano però cementate da una comune motiva-
                 zione a combattere. Quasi tutti contadini, i soldati non avevano alcun interesse a
                 restaurare il vecchio sistema di sfruttamento terriero che i bolscevichi avevano
                 almeno il merito di aver abbattuto .
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                    Abbandonata dai contadini e dalla borghesia nazionale, la causa monarchica
                 dava insomma l’impressione di non essere molto popolare nemmeno fra i mi-
                 litari .
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                    Al momento in cui i bianchi cominciarono a combattere, essi dovettero dun-
                 que scontare fin dall’inizio un deficit incolmabile. Mentre i rossi combattevano


                 149  “L’arroganza di Denikin, non soltanto di fronte alle aspirazioni di indipendenza, ma anche nei
                    confronti del sogno autonomista dei cosacchi del Kuban o del Don, gli alienò le simpatie di que­
                    sti temibili combattenti, che avrebbero potuto far meraviglie a fianco dei bianchi, di fronte ad una
                    armata rossa ancora disorganizzata”.  H. CARRERE D’ENCAUSSE, Lenin, p. 323.
                 150  H. CARRERE D’ENCAUSSE, Lenin, p. 293.
                 151  Negli strati più umili della società l’odio verso i ricchi e gli speculatori, anche se non politica­
                    mente indirizzato, si era infatti enormemente radicato di fronte ai grandi profitti maturati con le
                    commesse di guerra. L’aver sfruttato questo malcontento incanalandolo verso i propri nemici,
                    fu un’altra delle mosse fortunate del governo bolscevico, il quale con lo slogan della “terra ai
                    contadini”, tosto tradotto in legge dall’assemblea dei Soviet, aveva aperto la lotta di classe nelle
                    campagne, guadagnandosi l’appoggio, almeno momentaneo, dei socialisti rivoluzionari, inter­
                    preti delle richieste dei contadini. Ivi, pp. 285­289.
                 152  La dissolutezza e i traffici oscuri del misterioso monaco avevano compromesso l’immagine del
                    monarca di fronte alle forze sulle quali si fondava l’autocrazia russa: la Chiesa, l’Esercito, la no­
                    biltà, i grandi finanzieri. L’uccisione di Rasputin nel 1916, al di là dei suoi aspetti romanzeschi,
                    rappresentò il sintomo di una progressiva disgregazione al cuore del potere zarista. Per una bio­
                    grafia, vedi EDWARD RADZINSKIJ, Rasputin. La vera storia del contadino che segnò la fine
                    di un impero. Milano, Mondadori, 2000.


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