Page 181 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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172 GIULLANO MANZARI
appiccare il fuoco ai tetti delle case più vicine ai muri di cinta impiegando getti
di petrolio e stoppe incendiate. Nella parte meridionale la situazione era critica
perché, se l'incendio fosse divampato, il presidio sarebbe stato da considerarsi
perduto, mancando i mezzi per estinguerlo. Fu messo in batteria il cannoncino
catturato il 22 giugno, per il quale i marinai avevano fabbricato delle granate
artigianali; il pezzo aprì il fuoco a mezzanotte e i suoi primi quattro colpi spaven-
tarono talmente il nemico da fargli lasciare le posizioni più vicine, abbandonando
anche tre preziosissime pompe, che furono subito adibite allo spegnimento dei
focolai d'incendio ancora attivi. Gli attacchi venivano portati dal muro imperiale
e con un cannone situato a nord est del Pe-tang che aprì il fuoco da circa 300
metri contro le abitazioni delle suore; varie granate scoppiarono all'interno dei
cortili dove erano raccolte le suore e le donne cinesi ricoverate: uccisero e
ferirono alcune di queste ultime e produssero qualche danno alle abitazioni. Nascosto
tra le macerie delle case bruciate, un grandissimo numero di soldati cinesi tirò
un'enorme quantità di colpi contro i difensori che, pur infliggendo perdite agli
attaccanti, non riuscirono a farli allontanare. I cinesi si ritirarono solo dopo tre
ore di fuoco intenso. Fra i difensori si ebbero vari morti e parecchi feriti, fra i
quali ultimi un marinaio italiano ferito alla testa. La sera e nella notte continuarono
le fucilate dal muro imperiale e dalle altre parti. Dal 2 al5 luglio si ebbero unicamente
attacchi sporadici, ai quali i difensori risposero con il lancio di qualche sasso e
pochissime fucilate. Successivamente, fino al 13, la situazione restò calma. Per
fortuna, perché viveri e munizioni erano diminuiti paurosamente e si poteva
rimediare solo in parte alla carenza dei primi, macellando la poca carne in piedi
presente nel recinto. Per le munizioni, si fabbricarono delle rudimentali cartucce,
adoperabili solo a piccolissima distanza, per giunta così pericolose per chi le
utilizzava da far scoppiare due fucili, che ferirono chi li impiegava. In lontananza,
dalla parte delle Legazioni, si sentiva un notevole fuoco di moschetteria accompagnato
da colpi di cannone. I cinesi proseguivano nell'opera di fortificazione delle loro
posizioni, preparavano spalti e batterie, e cercavano ancora di dar fuoco alle
costruzioni del Pe-tang. Nella impossibilità di poter appiccare il fuoco da vicino,
i soldati cinesi ed i Boxer tentarono di appiccarlo utilizzando dei razzi incendiari
che lanciavano da 500/600 metri di distanza: si trattava di armi formate da un
tubo di lamierino di ferro, lungo circa 50 cm, di circa 70 mm di diametro; questo
tubo, pieno di polvere da sparo, aveva, posteriormente, un bastone di legno
stagionato di circa 2 metri di lunghezza. I razzi venivano lanciati per mezzo di
una specie di tubo a cannocchiale che serviva per dare la direzione all'arma; i razzi
arrivavano con una violenza straordinaria sibilando per l'aria, perforando i tetti
e i muri che colpivano. Il dover combattere contro cannoni, fucilate da tutte le
parti, bombe e razzi incendiari al tempo stesso, mise la difesa in una posizione
critica, ma ai marinai, fortunatamente, 110n mancarono la buona volontà ed il
sangue freddo; il morale si mantenne altissimo c, con l'aiuto dei cinesi, che si
adoperano in vari lavori, la resistenza continuò accanita. I bombardamenti si