Page 177 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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168 GIULIANO MANZARI
controllata, che americani e russi, a occidente, stessero per cedere. I marinai
italiani ripiegarono e solo la fortuna (e la indecisione dei cinesi) impedirono che
questi approfittassero della situazione per chiudere la partita, poiché essi si
limitarono a una piccola e guardinga avanzata e ad incendiare irrimediabilmente
la Legazione italiana. Accortisi dell'errore, i reparti occidentali tornarono in fretta
ai loro posti; ma ormai le posizioni italiane erano perse e il signor Paolini si
aggregò ai tedeschi, passando poi nel Fu, la grandiosa villa del principe Suh, dove
si trovava il distaccamento giapponese, andando a presidiarne il lato nord. Nei
vasti edifici della villa si erano rifugiati circa 2.000 cinesi convertiti, provenienti
dalle varie missioni. Un alto muro di cinta impediva ai colpi cinesi di battere la
posizione italiana. Da alcuni punti pill elevati, barricati con sacchi di terra, si
potevano sorvegliare le mosse del nemico, qualora avesse tentato di avanzare.
Ma il nemico non si fece vedere. Nascosti nelle infinite casupole confinanti con
il muro di cinta, i cinesi scaricavano da feritoie praticate nei muri dei tetti, migliaia
e migliaia di colpi con un fuoco nutrito e continuato senza tregua durante tutto
il giorno e gran parte della notte. L'attacco ferÌ mortalmente un marinaio italiano (22)
e causò l'incendio della famosa biblioteca Hanlin (23). Il 23 il Ministro britannico,
sir MacDonald, assunse la direzione generale della difesa delle Legazioni.
Dal 24 giugno al 16 luglio si susseguirono i tentativi cinesi portati princi-
palmente verso la zona del Fu con continuo stillicidio di morti e feriti fra i
contingenti dei difensori. Fra le tre armi di reparto che facevano parte dell'armamento
degli assediati, l'unico pezzo rispondente allo scopo risultò quello da 37 mm
italiano; le mitragliere di piccolo calibro, austriaca ed americana, ottime come
funzionamento, non riuscirono di utile impiego contro un nemico protetto. La
granata carica da 37 mm, usata con una certa intensità di fuoco, riuscì ad abbattere
alcune barricate, obbligando il nemico a sloggiare dalle loro posizioni; per tale
potenza e per la facilità di trasporto e installazione il pezzo fu richiesto e usato
ove ritenuto necessario. Quando i colpi cominciarono a scarseggiare, l'armaiolo
del distaccamento inglese iniziò un rifornimento di munizioni fabbricando proiettili
di metallo fuso e ricaricando i bossoli con polvere comune ed incendivi ricavati
da cartucce da revolver. Per alleggerire la pressione sulle Legazioni, i difensori,
ogni tanto, conducevano una sortita, raggiungendo le posizioni del nemico respin-
gendolo. Alle perdite di uomini si sommava anche la scarsezza delle munizioni,
visto che restavano, in media, solo una cinquantina di cartucce per uomo. Il 30
giugno il nemico condusse un attacco nel settore difeso dai giapponesi, e, attraverso
una breccia fatta nel muro, i cinesi riuscirono ad incendiare uno dei vasti fabbricati
della residenza principesca; l'incendio si propagò ad altri edifici più vicini alle
posizioni occidentali. Un plotone italiano ed alcuni francesi, che da qualche giorno
erano passati sotto il comando di Paolini, fu inviato in rinforzo ai giapponesi per
respingere un tentativo di penetrazione da parte del nemico. L'indomani, lO luglio,
fin dal mattino, i cinesi installarono un cannone a pochi metri dal muro di cinta,