Page 107 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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58    Momenti della vita di guerra

               Gli austriaci rispondevano con risa beffarde, sataniche al lamento d’un nostro
             ufficiale ferito sui loro reticolati, uccidevano col calcio del fucile i nostri feriti, de-
             predavano come avvoltoi i corpi dei caduti! Li abbiamo visti, capisci? Tutti li hanno
             visti. Bisogna che l’odio nostro cresca cresca, divampi furibondo, insaziabile come
             il loro. I nostri fanciulli debbono apprenderlo coi primi elementi della loro educa-
             zione! Bisogna trasmetterlo di generazione in generazione come la gloria dei nostri
             padri! Ciò che è austriaco deve esser bandito dal nostro suolo, reietto, oppresso.
             Sono indegni di vivere. Per tre volte hanno tirato sui nostri portaferiti, che, secondo
             le regole della convenzione, andavano alla ricerca dei feriti .
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             Ma nel maggio del ’16 ha la rivincita. Il nemico, travolta la resistenza d’un reggi-
          mento di cavalleria appiedata, sta per irrompere a Monfalcone. Il reggimento dell’Ar-
          righi, che appena da due giorni era sceso a riposo, accorre di rincalzo e riconquista la
          linea. Allora prorompe la gioia e l’orgoglio di corpo, e nulla gl’importa se il sospirato
          riposo vien meno e il reggimento deve restare di presidio nelle trincee:

               (20 maggio ’16). Il mio battaglione da quota 87 era passato il giorno avanti in se-
             conda linea a Monfalcone. Anche qui piovevano granatoni su granatoni accendendo
             veri incendi che illuminavano sinistramente l’agonia della già morta città. Rannic-
             chiati sotto i ricoveri, attendemmo tutta la notte la chiamata che intuivamo vicina e
             inevitabile. Si temeva che la cavalleria non reggesse. Non ci eravamo ingannati. A noi
             l’onore di cacciare l’invadente nemico e riprendere le perdute trincee! In silenzio, sot-
             to l’incessante pioggia di ferro, sfiliamo rapidi nei lunghi e tortuosi camminamenti.
             Qualcuno cade, non vuol dire, avanti lo stesso! Mentre al viale dei platani sostiamo
             per raccoglierci, mi si ordina di assumere subito il comando della terza sezione mi-
             tragliatrici. Riprendiamo la corsa affannosa verso il mare.
               Siamo sul posto!
               Poderosi stabilimenti addentati dalle granate mostrano dalle immense ferite le
             macchine modernissime e le interne attrezzature rotte e contorte. Ciminiere altis-
             sime e stroncate, impalcature crollate e divampanti. In mezzo a questo intrigo di
             fabbricati di binari, di macchine fatte per dar vita, gli uomini ora si uccidono con
             rabbia feroce. Gli austriaci s’insinuano dappertutto e avanzano, malamente tratte-
             nuti dai resti di qualche squadrone. Il battaglione si ferma per orientarsi. Poi due
             compagnie restano in immediato rincalzo e le altre due con le baionette innastate
             proseguono. Io le seguo con la sezione someggiata. Si aprono a V: la 16ª sfila di corsa
             a destra, la 14ª a sinistra. I capitani bravamente in testa comandano, urlano gridano
             nel turbinio delle pallottole. Il maggiore, oggi meraviglioso, mi chiama, mi pianta
             gli occhi in faccia e dice: «Lei mi spazzi il terreno di fronte da una posizione domi-
             nante centrale» e mi addita proprio il cadente stabilimento. «Ha capito?» «Signor sì!»
             Mi arrampico per una scala, affaccio le armi a due finestre slabbrate del fabbricato
             e giù una grandinata sui cappottoni azzurri che si muovono poco lontani. La mia
             soddisfazione ha breve durata. Come prevedevo la sezione è stata subito facilmente
             individuata. Un sibilo, uno schianto, altissime urla! Una granata, sfondato il muro, è
             scoppiata a dieci metri da me, lasciandomi miracolosamente illeso, ma frantumando
             la prima arma e uccidendo o ferendo tutti i miei poveri soldatini che Ia manovrava-
             no. Altri ne seguono. Sono costretto a lasciare immediatamente la posizione per non
             esporre il resto della sezione a sicuro sterminio. Ma già, serrati dalle nostte baionette,
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