Page 111 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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62 Momenti della vita di guerra
più profondi, che, come l’aria che si respirava sono di solito i meno avvertiti. Tutti si chie-
devano se fosse proprio vero che il patrimonio comune dell’umanissima civiltà europea,
le forme di vita, gli ideali, i costumi di cui e in cui si era fin allora vissuti, dovessero essere
brutalmente travolti, se i liberi popoli d’Europa dovessero essere ancora oggetto di sparti-
zione e di conquista; se nel dilagare della potenza tedesca dovessero scomparire le vecchie
patrie, rinnegarsi i sogni e le fedi che le avevano costituite, le loro libere vite, e, in Italia,
dovesse scomparire quel sentimento umanitario, quel sacro rispetto delle anime, che come
soffio di primavera aveva nel Risorgimento ridestato il vecchio popolo italiano. Essendo in
gioco questa sostanza spirituale, la patria era in pericolo.
Nel rischio di queste forme di vita maturate nel corso della storia, e accettate come
cosa ovvia, non ostante tutti i presupposti e le prevenzioni rivoluzionarie, molti sociali-
sti ritrovavano la patria e con essa si riconciliavano.
Sorgeva così anche quell’antitesi di forza e di diritto: che, male impostata teorica-
mente, fu tediosa durante la guerra: ma in cui sarebbe ingiusto disconoscere un motivo
di verità. La cruda ragione del forte in armi, non era che un’applicazione tedescamente
pesante d’un principio storico fuori della sua sfera. La degnità storica, immanentistica,
che la storia è creata dall’attività operante, non dalla contemplazione trascendente; che
da quest’energia operante s’irradia il diritto, non può essere usata come rivendicazione
anticipata di diritto. Non si può anteporre il giudizio storico alla propria opera con-
creta, affermando: «io sono la forza»; neanche da parte di un organismo militare. Ché
la forza storica opera per mille vie, e vie arcane, proprio come quelle dell’antico dio
biblico, che esplicava la sua possanza per mano del giovinetto Davide, o nella stoltezza
della croce. Era quella tedesca una degenerazione del concetto immanentistico in una
meccanica bruta, materialistica. Per corrispettivo e per antitesi nacque il senso della
civiltà minacciata dalla violenza e reagirono tutte le attività, tutte le fedi, che, non
prontamente mobilitabili come un esercito, eran tuttavia forza viva creatrice di storia.
La Germania militare commetteva l’errore dell’avaro che considera ricchezza solo
l’oro ammucchiato nel forziere: considerava forza solo quella mobilitata in battaglio-
ni, solo quella accentrata intorno all’asse della disciplina militare: e non considerava
forza quella investita nelle infinite vie dello spirito. Era vittima del mito della forza
organizzata, mito che brucia o rinnega tanta parte della vita spirituale, da cui pure si
continua e dalle cui fila si riprende il vasto arazzo della storia umana. Povera, nono-
stante i grandi progressi tecnici, di fascino ideale (ché la sua grande epoca di cultura
era passata), povera di doti d’assimilazione, di quella potenza con cui Roma avvinceva
lo spirito del grande storico di Megalopoli, e la grande rivoluzione traeva i popoli nel
suo solco, la Germania osava tentare la grande impresa dell’egemonia.
Nella coscienza dell’impossibilità di vivere in questa egemonia, entro la pace tedesca,
si risvegliò il patriottismo italiano.