Page 113 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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64    Momenti della vita di guerra


          era primo segretario al ministero dell’istruzione. Giuseppe (Pinotto nel diminutivo fa-
          miliare) era di temperamento più energico, irruente, austero e rigido con sé per avere
          il diritto d’essere esigente con gli altri; mite, lievemente malinconico e contemplativo
          Eugenio . L’uno guardava all’altro con tenerezza e con ammirazione, come a un com-
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          pletamento di se stesso. Dopo la prima ferita riportata al Pasubio, Eugenio descrive ad
          un amico l’accorrere del fratello al suo letto. È il trascorrer d’una meteora luminosa di
          forza e d’energia.

               (Vercelli, 24 ottobre ’16, al dott. Beppe Reina). Sai chi è venuto per poche ore a ve-
             dermi? Pinotto: precipitato giù dal Rombon, nero, sporco, ma con gli occhi pieni della
             bianca serenità delle Alpi nostre. È venuto ed è ripartito lasciando qui nell’aria, piena
             ora di un sottile profumo di lana greggia, un’eco della sua bella e balda giovinezza, co-
             scientemente e signorilmente buttata fra i pericoli della guerra e quelli della montagna,
             per la nostra Italia. Sai che ha conquistato ai nemici il Montasio, con un’ascensione che
             resterà famosa negli annali dell’esercito e dell’alpinismo! Iddio lo protegga sempre! .
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             Pinotto a sua volta si commoveva a pensare che il suo mite fratello, trasferito in
          fanteria, era impegnato nelle furibonde lotte carsiche.

               (6 maggio ’17, al padre). Caro il mio Eugenio: che anima bella, che anima grande!
             Perché non potermi addossare io tutti i suoi pericoli, tutte le sue sofferenze, per con-
             servarlo alla vita, così come era ora, come l’avevamo per tanto tempo desiderato, come
             temevamo di non rivederlo mai più: con gli occhi limpidi e chiari, bello e forte?
               Credi, perfino per il passaggio in fanteria avrei sofferto meno per me che per lui:
             perché in lui la spontaneità, il sentimento, che domina con tutta la sua bellezza, con
             tutta la sua freschezza: in me il solo ragionamento con la sua logica ferrea inesorabile,
             che sarà, lo ammetto, non meno forte nei suoi effetti, ma tanto tanto più arido. Per
             questo io finisco per soffrir meno di tutto, sempre, e nel mio desiderio non c’è in fondo
             che un fondo di egoismo: mi dànno maggior dolore le sofferenze altrui che le mie .
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             Erano stati tutti e due riformati alla leva: nell’esercizio dell’alpinismo si costituirono
          la gagliardia fisica che li assisté in guerra. Se fosse durata la pace, sarebbero stati due di
          quegli uomini che negli uffici pubblici, compiendo rigorosamente il proprio dovere, esi-
          gendolo dagli altri, resistendo ad ogni ingiustizia, risanando l’ambiente in tutto il raggio
          della loro azione, fan sì che corpi, amministrazioni, tribunali, costituiti come tutte le cose
          umane da uomini frali, e non sempre né tutti pronti al martirio, pure si levino alti nella
          stima pubblica, e diano il senso della sanità d’un paese. Sarebbero stati insomma due di
          quei pochissimi giusti in grazia dei quali si dice che Iddio sopporti il mondo.
             La guerra mutò il loro campo d’azione. Al primo annunzio della guerra europea,
          già nell’agosto ’14 Pinotto cercava il reparto in cui combatter come volontario. Sperava
          nella costituzione d’un battaglione alpino della Sucai e si offriva pronto. Non aveva
          dubbio alcuno sulla parte da cui doveva schierarsi l’Italia: non la riteneva capace della
          parte di Maramaldo.
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