Page 114 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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I fratelli Garrone  65


               Malediceva però a chi si era assunto l’iniziativa della guerra.
                 (Tripoli, 1° settembre ’14, alla madre). Giorni fa giunsero qui notizie da far
               rabbrividire e far maledire anche più la leggerezza con cui l’imperatore Gugliel-
               mo, nella sua presunzione e superbia sconfinata, ha scatenato tanto flagello e
               tanta ruina sulla povera Europa. «In nome di Dio!» egli continua a ripetere in
               tutti i suoi discorsi, in tutti i suoi proclami, in tutti i suoi telegrammi; ma credo
               farebbe bene a non bestemmiare tanto. Vero che per ora le sorti della guerra pare
               gli siano benigne, ma chi sa che, prima di vederne la fine, la sua superbia non
               abbia a subire un qualche colpo tremendo, che gli faccia provare la giustizia di un
               Dio, che esiste, sì, ma non foggiato e plasmato come egli credeva per i piaceri, i
               comodi e le prepotenze della Germania! E che bel giorno poi sarebbe quello in cui
               anche noi potessimo concorrere in tale opera di giustizia, assalendo quell’Austria
               maledetta che tanto male ha fatto ed ha cercato di fare in questi ultimi tempi ai
               nostri fratelli irredenti .
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               Ma ormai alla guerra bisognava contrapporre animo virile: accettarla fino in fondo
            per la restaurazione solida della pace europea. Alla madre che quasi presaga delle sue
            sventure sognava che la guerra potesse chiudersi nell’autunno del ’14, Pinotto rispon-
            deva per apparecchiarla:
                 (Tripoli, 9 settembre ’14). Nelle tue lettere accenni alla speranza che si possa pre-
               sto conchiudere la pace. È un sogno, cara la mia mamma, specialmente dopo l’accor-
               do delle potenze della triplice intesa di non venire a patti con gli stati tedeschi se non
               collettivamente. Nè forse sarebbe desiderabile! Non è questa una guerra diplomatica,
               ma una guerra di popoli e di razze che deve per forza finire con l’esaurimento com-
               pleto di uno dei due gruppi. Una pace conclusa prima non potrebbe essere duratura
               e proficua: sarebbe una semplice tregua che gli Stati firmatari penserebbero di rom-
               pere nell’atto stesso della loro sottoscrizione. Troppo bisogno hanno i popoli europei
               di un lungo periodo di tranquillità e di poter pensare a spese ben più produttive di
               quelle militari per ritenere possibili dei mezzi termini e delle mezze misure. Sarà però
               una guerra lunga assai che prostrerà i vincitori oltre che i vinti e a cui noi per forza
               di cose non potremmo certo sottrarci.
                 È impossibile che nel giro di lunghi mesi non sorga quella provocazione che non
               sembri troppo un pretesto (chissà fino a quando noi saremo quelli della politica delle
               mani nette!) indispensabile per trascinarci nel conflitto .
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               E ripeteva al padre:

                 (Tripoli, 9 settembre ’14). Tante grazie, caro Papà, della tua lettera. Come capisco
               tutto il tuo strazio per questa guerra orribile che si vorrebbe combattere in nome di
               Dio e delle più alte idealità, ed è invece la distruzione di ogni principio di religione,
               di ordine e di morale!…
                 Fortuna che l’idea della patria ha la forza di idealizzare, per gl’individui, ogni azio-
               ne, ogni gesta: il sacrificio riesce così meno grave e può in certi casi apparire persino
               bello e desiderabile. Se non fosse così, sarebbe uno strazio senza nome .
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