Page 112 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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I fratelli Garrone  63


               Patriottismo che converrà distinguere dal nazionalismo, anche se i due termini, e
            non i termini solo, ma anche i concreti indirizzi, per buona parte si mescolarono e si
            confusero. Rimase tuttavia una divergenza profonda che doveva rivelarsi in seguito.
            Mentre per il nazionalismo l’idea della nazione è assoluta, chiusa, un idolo che tutto
            chiede, e in cui tutto deve confluire, l’idea della patria invece, specialmente per effetto
            dei grandi movimenti europei del secolo scorso, è risolvibile in un contenuto ideale,
            universale, nei beni che ci garantisce, nella spiritualità in cui si celebra, nelle istituzioni
            in cui si potenziano gli uomini, insomma in una serie di ragioni ideali e di tradizioni
            storiche, che posson consentire la coesistenza di altre patrie a fianco alla Patria, di un
            patrimonio comune di civiltà con altri popoli, in un’emulazione con essi che non sia
            necessariamente contrasto e conflitto.
               Era questo il retaggio del Mazzini propugnatore dell’alleanza dei popoli, di Garibal-
            di soldato d’ogni patria che s’affermasse, di quella collaborazione di simpatia con cui i
            più nobili spiriti europei avevano accompagnato il Risorgimento: ed in parte era anche
            conseguenza d’un aspetto cattolico, nel miglior senso della parola, universale del popolo
            italiano, repugnante a cupi fanatismi nazionali.
               La volontà di guerra perciò nei nostri migliori soldati era quasi sempre mediata da
            questi motivi ideali, sí giustificava in un’aspirazione a una migliore giustizia fra gli uo-
            mini di più elevata civiltà. Che poi tale spirito fosse deluso nella conclusione della pace,
            che non avesse una capacità politica per affermarsi, né una tecnica abilità per risolvere
            tanti grovigli di nazionalità intrecciate, di nazionalismi esasperati dalla lunga guerra,
            non è cosa senza antecedenti nella storia. Un secolo prima il congresso di Vienna aveva
            deluso le forze nazionali, che pure avevano fiaccato Napoleone. Ciò non esclude che
            questo anelito verso le


                                  ultime dee superstiti, Giustizia e Libertà,

               fosse un impulso potente della nostra guerra, e non un’impostura di giornalismo
            mendace.
               V’è un epistolario, quello dei fratelli Garrone, che può considerarsi il documento
            più elevato e più nobile di questo delicatissimo senso della patria. E ciò che palpitò in
            animi infiniti della gioventù di ciò che guerra, ad altri balenò più confuso, più torbido,
            conflittò con altri desideri, con altre passioni, ciò che fu intravisto più che veduto, net-
            tezza raggiunge nitida di contorni e trasparenza cristallina nella volontà senza esitanze,
            nella dedizione senza riserve dei due gloriosi alpini di Vercelli. Le loro lettere rimarran-
            no tra i documenti più rappresentativi della guerra italiana.
               Erano i due figli maschi della famiglia di Luigi Garrone, professore nel liceo di
            Vercelli. Giuseppe, il maggiore, era giudice al tribunale di Tripoli, Eugenio, il minore,
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