Page 26 - Repertorio degli Ufficiali dei Carabinieri Reali 1814-1871
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Gli ufficiali dei carabinieri reali (1814-1871) XXV
smodati di «brandevin» e se solo lo avesse potuto avrebbe fatto volentieri a meno
di essi. Così, soggiungeva con arguta ironia, non avrebbe avuto il rincrescimento
di turbare il corso della loro fortuna. Riservò quindi gli alti gradi dell’esercito a
coloro che durante il tempo della dominazione francese si erano ritirati a vita pri-
vata, e questi considerò, per l’avanzamento, come se avessero continuato a prestar
servizio, promuovendoli di grado. Fin che gli fu possibile ammise quali ufficiali
nell’esercito, giovani patrizi, anche se ignari delle armi, e solo quando non poté
assolutamente farne a meno, si adattò a ricevere coloro che avevano militato sotto
le bandiere dell’Usurpatore; ma in questo caso prescrisse rigorosi accertamenti ed
impose a quasi tutti la perdita di un grado. Si ritrovarono così subalterni, anche
nelle file dei Carabinieri, ufficiali che sul campo di battaglia avevano bravamente
comandata la batteria e lo squadrone o guidato all’attacco il loro reparto di linea.
Fu quanto successe ad un Taffini d’Acceglio, che come il marchese di Rubiera, di
cui parla il d’Azeglio nei suoi ricordi deve essersi molto affaticato per comprende-
re per quale fortunata combinazione, dopo essere giunto da cannoniere a capitano
e dopo aver combattuto per undici anni, dal 1803 al 1814, in Italia, in Spagna, in
Germania, in Russia ed in Francia ed essersi guadagnata per il suo valore sul cam-
po la croce della legion d’onore, aveva finito per meritarsi in Piemonte di essere
retrocesso di un grado. La stessa domanda devono essersela rivolta il costigliolese
Lanzavecchia di Buri, che da semplice granatiere era giunto a capitano, e che era
ritornato dalle campagne di Russia, di Spagna, di Sassonia e di Francia con quattro
ferite e l’alessandrino Fabrizio Lazari che era stato luogotenente nel terzo reggi-
mento italiano. Più fortunati dei colleghi avevano almeno potuto conservare il loro
grado di sottotenente il corazziere Cottalorda, veterano di Austerlitz, dove aveva
toccato 20 colpi di sciabola ed una ferita d’arma da fuoco, ed il cacciatore Cavasso-
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la che aveva avuto un colpo di sciabola in Spagna e due di lancia in Prussia” .
Con tali giudizi si può affermare che mentre, almeno nel primissimo periodo, vi
furono figure di spicco della nobiltà piemontese tra i nomi degli ufficiali, molti dei
quali non avevano preso parte alla vita pubblica per circa quindici anni, le successi-
ve prove costrinsero il sovrano a modificare le proprie scelte accettando l’ingresso
di nuovi ufficiali, anche considerando che, “durante la fase della Restaurazione,
si assistette ad una diversificazione dei percorsi selettivi connessi alle promozioni
sociali che, sino al periodo napoleonico erano legati alla potestà di ruolo e all’ac-
quisizione di censo, per trasformarsi con l’affermazione delle capacità e delle doti
28 Secondo la valutazione di Barengo, ufficiale dell’Arma e attento studioso della storia
dell’Istituzione, coMando generale dell’arMa dei caraBinieri reali, Vecchia Arma Fe-
dele – conferenza tenuta dal maggiore Ulderico Barengo nel Circolo Ufficiali della Legio-
ne CC. RR. di Roma l’8 aprile 1933 inaugurandosi il primo ciclo di conferenze storiche
sull’Arma, promosso dal Museo Storico dei Carabinieri Reali, Roma, maggio 1933, pp.
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