Page 145 - Scenari Sahariani - Libia 1919-1943. La via italiana alla guerra nel deserto
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Controguerriglia e Controllo del territorio

               Il Battaglione Sahariano era un’eccezione, non solo per quanto riguardava
            la struttura, che realizzava ai minimi livelli di comando un avanzato esempio
            di integrazione interforze, ma anche per la dotazione di mezzi automobilistici,
            tutt’altro  che  rappresentativa  della  realtà  del  Regio  Esercito  anche  in  un
            territorio come la Libia, ben diverso dalla regione delle Alpi a cui si continuava
            insistentemente  a  guardare.  A  partire  dall’estate  del  1935,  in  concomitanza
            con  l’acuirsi  della  crisi  determinata  dal  precipitare  della  situazione  in  Africa
            Orientale, a Tripoli erano stati elaborati una serie di progetti che, pur nella loro
            genericità, erano coerenti nel proporre un atteggiamento difensivo a occidente,
            verso la Tunisia, e una linea d’azione più offensiva a oriente, con un corretto
            apprezzamento  dell’importanza  strategica  dell’Egitto  e  del  Canale  di  Suez.
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            Non altrettanto corretta era invece la definizione dello strumento da utilizzare,
            dal momento le sue potenzialità erano calcolate in termini più quantitativi che
            qualitativi, e che il tentativo di coniugare mobilità e potenza di fuoco attraverso
            l’impiego di mezzi ruotati e cingolati da trasporto e da combattimento non fu mai
            sviluppato fino in fondo, affrontando in modo compiuto i problemi organizzativi,
            logistici e tattici associati alle operazioni di unità motorizzate e corazzate.  Non
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            venne in altri termini definito un quadro dottrinale pienamente adeguato a una
            guerra moderna, ma sarebbe ingeneroso farne carico solo e soltanto a Balbo, e
            non piuttosto a un vertice militare che nel suo insieme, nonostante l’apparente
            adesione ai principi della “guerra di rapido corso”, rimaneva ancorato a idee
            superate. Balbo, con le grandi manovre del 1938, tentò di inserire degli elementi
            di forte novità, che non furono poi adeguatamente valorizzati, e nei pochi giorni
            che precedettero la sua tragica fine per “fuoco amico” nel cielo di Tobruk, il
            28 giugno 1940, fece probabilmente in tempo a intuire ciò che sarebbe stato
            necessario fare. Di qui l’invito a Mussolini a richiedere all’alleato tedesco carri
            armati e autoblindo, e un impiego degli stormi della Regia Aeronautica in una
            prospettiva di aerocooperazione, ma era ormai troppo tardi.

               Forse  perché  meno  forti  erano  i  vincoli  della  tradizione  e  della  cultura
            organizzativa  imperante,  Balbo  dimostrò  una  ben  maggiore  iniziativa  e  una
            capacità di innovazione spinta ai minimi livelli di dettaglio nella riorganizzazione
            delle truppe libiche, e in particolare, come si è visto, di quei reparti ai quali
            era  affidato  il  controllo  del  territorio.  Nel  1937,  con  la  creazione  di  un
            Comando Superiore delle Forze Armate dell’Africa Settentrionale, affidato allo
            stesso governatore, era stato deciso di dislocare in Libia due corpi d’armata.
            L’operazione,  che  significava  un  consistente  rafforzamento  del  dispositivo


            154   F. MINNITI, Balbo e la mancata formazione di una strategia mediterranea (1936-1940), in Italo Balbo:
               Aviazione e Potere Aereo, Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica, 1998.
            155   L. CEVA, Balbo e la preparazione della guerra in Africa Settentrionale, in «Italia Contemporanea» n.
               243, giugno 2006, p. 213-226.


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