Page 151 - Scenari Sahariani - Libia 1919-1943. La via italiana alla guerra nel deserto
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Controguerriglia e Controllo del territorio

               La cosa era fattibile, considerate le potenzialità dei moderni velivoli da trasporto
            passeggeri o da bombardamento, e in alcuni teatri operativi, in particolare nelle
            colonie, si poteva pensare a «operazioni di sbarco dagli aeroplani in più grande
            stile,  con  compiti  propri  e  completamente  indipendenti  dai  movimenti  delle
            forze di terra». Nelle operazioni coloniali si aveva infatti di solito un’enorme
            sproporzione  tra  il  territorio  da  controllare  e  le  forze  disponibili,  cosa  che
            richiedeva un’organizzazione offensiva-difensiva basata su pochi centri dai quali
            poter intervenire con la massima rapidità in ogni direzione. Anche così però
            l’avversario, avendo dalla sua la conoscenza del terreno e una maggiore mobilità,
            era spesso in grado di accettare o rifiutare il combattimento a suo piacere, come
            tante volte era avvenuto durante la riconquista della Libia. In questo scenario il
            ruolo dell’aeronautica diventava fondamentale, e se il bombardamento rimaneva
            la  forma  tipica  di  impiego  del  mezzo  aereo,  a  questa  potevano  e  dovevano
            «accompagnarsi  gli  sbarchi  dagli  aerei  per  continuare  l’opera  distruttiva  fatta
            dalle bombe sulle formazioni di armati, per occupare punti strategici di vitale
            importanza, per distruggere e saccheggiare i focolai della resistenza». In queste
            azioni era opportuno impiegare reparti coloniali, più adattabili all’ambiente e
            meno esigenti dal punto di vista logistico, tenendo presente che un migliaio di
            uomini, una forza considerevole in qualunque contesto coloniale, poteva essere
            trasportato in una singola sortita da 30 o 40 velivoli con il necessario per vivere
            e operare per 4 o 5 giorni, e poteva poi essere rifornito dall’alto. Poco più di un
            anno dopo, mentre in Africa Orientale cominciava a manifestarsi il problema
            della guerriglia, sarà un altro ufficiale pilota, il maggiore Delio Vecchi, a ipotizzare
            a sua volta l’impiego di reparti di paracadutisti quale forza di pronto intervento
            per il controllo del territorio.
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               Meno  legate  all’ambito  coloniale  sono  le  considerazioni  proposte  nel
            1937 dal maggiore pilota Prospero Freri, uno dei pionieri del paracadutismo
            italiano  nonché  inventore  del  paracadute  Salvator.  Con  l’impiego  razionale
            e  continuativo  di  questo  mezzo,  l“arditismo”,  inteso  come  «espressione  di
            coraggio, di sprezzo temerario di ogni rischio, di spirito d’avventura» passava dal
            campo della fanteria a quello dell’aeronautica.  Il paracadute poteva diventare
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            da mezzo di salvataggio mezzo d’impiego, come già era stato fatto in campo
            logistico durante la campagna d’Etiopia con il lancio di viveri, munizioni, acqua
            e materiale sanitario, e in un contesto europeo si aprivano così nuove prospettive
            all’azione  di  nuclei  di  guastatori  chiamati  ad  agire  con  la  massima  rapidità  e
            di sorpresa a tergo dello schieramento avversario per colpire punti nevralgici
            dell’organizzazione difensiva e offensiva. La scuola di paracadutismo diventava



            162   D. VECCHI, Il controllo aereo dell’Abissinia, in «Rivista Aeronautica», 10/1936, p. 1-9.
            163   P. FRERI, Arditismo aereo, in «Rivista Aeronautica», 7/1937, pp 18-27.


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