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1 Sessione - Il tributo di sangue 69
diversa relazione con la morte dei borghesi in uniforme, perlopiù in trincea, ri-
spetto ai professionisti delle armi, spesso nei comandi e negli uffici. 24
Il differente grado di pericolo a cui un combattente doveva soggiacere muta-
va del resto in base a molteplici condizioni: si moriva di più o di meno a secon-
da dell’arma, della specialità, dell’età e persino della provenienza regionale, che
condizionava spesso la destinazione in reparti maggiormente esposti alle carne-
ficine delle offensive sul fronte dell’Isonzo (dove fino alla rotta di Caporetto si
contarono i quattro quinti delle perdite italiane). La permanenza nelle posizioni
avanzate («piccoli posti» o posti di osservazione) anche se limitata a qualche
giorno, poteva essere un’esperienza traumatica, specialmente nel temibile settore
del Carso, dove l’andamento delle linee portava le postazioni italiane e austriache
ad essere a volte separate da una no man’s land non più ampia di pochi metri: la
vicinanza dei tiratori nemici impediva qualsiasi movimento di giorno, e i soldati
erano costretti a restare immobili e permanentemente all’erta, «passivi, in attesa»,
immersi nel fango e nella sporcizia che caratterizzavano trincee improvvisate, in
cui era impossibile provvedere alla pulizia e al minimo comfort, come ricorderà
Carlo Salsa in Trincee, uno dei volumi di memorialistica che meglio abbia saputo
restituire l’atmosfera allucinata del fronte carsico. 25
Gli uomini che occupavano la linea principale («di massima resistenza») e
arretrate («di rincalzo»), distanti decine e a volte centinaia di metri l’una dall’altra,
potevano invece considerarsi al riparo da rischi immediati, soprattutto dopo il
primo anno di guerra, quando il sistema di fortificazione campale delle truppe
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venne perfezionato, e le trincee vennero dotate di protezioni migliori. Era una
sicurezza relativa (i bombardamenti di artiglieria colpivano soprattutto le linee
arretrate) ma percepita comunque come un enorme miglioramento: i parapetti, i
sacchi a terra, le piazzole blindate e i piccoli rifugi, familiarmente nominati fifhaus,
«casa della fifa», «proteggevano abbastanza dalle pallottole di fucile e di mitra-
gliatrice», e permettevano il lusso della normalità, come togliersi le scarpe per
24 FEI, specchio c) e d) Ufficiali esistenti, p. 18. Per un’analisi accurata delle lacune nelle fonti
e per gli scarti tra le diverse letture cfr. P. Del Negro, Appendice. I caduti italiani della Grande
Guerra: soldati e ufficiali, in Volontari italiani nella Grande Guerra, cit., pp. 38-43.
25 C. Salsa, Trincee. Confidenze di un fante, Mursia, Milano 1995 [1924], pp. 67-68.
26 F. Cappellano – B. Di Martino, Un esercito forgiato nelle trincee. L’evoluzione tattica dell’esercito italia-
no nella Grande Guerra, Gaspari, Udine 2008, pp. 201-240.