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70         Il Milite Ignoto: sacrificio del cittadino in armi per il bene superiore della Nazione




            dormire e lavarsi.  Inoltre, anche se secondo criteri a volte illogici, a partire già
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            dai primi mesi di guerra le unità di fanteria occupavano le trincee di prima linea
            a turno: benché gli avvicendamenti potessero essere molto irregolari per varie
            contingenze, e nonostante ciò non mettesse al riparo dalla partecipazione alle
            numerose offensive, la consapevolezza di dover veramente rischiare la vita per
            un numero limitato di giorni era fondamentale per i combattenti.  Pietro Ferrari,
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            un fante che combatté nel settore di Tolmino nell’autunno 1915, ricorda di aver
            trascorso in prima linea meno di due settimane in due mesi, più tre giorni (e tre
            notti) di snervante presidio di un posto avanzato, un periodo più breve dei 20-25
            giorni considerati come turno normale di prima linea.  Nei settori più impegna-
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            tivi del fronte le truppe venivano di norma fatte ruotare più rapidamente per
            impedire pericolosi casi di logoramento psicologico; una saggia precauzione che,
            disattesa, fu all’origine di alcuni scoppi di insubordinazione collettiva nel 1916 e
            1917, quando alcuni reparti si rifiutarono di tornare in trincea fondamentalmente
            perché non erano stati rispettati i turni di riposo.  30
               Va aggiunto che anche la specialità della fanteria a cui si era assegnati impli-
            cava un rischio differente. Secondo le stime elaborate dal Comando Supremo,
            una fonte indicativa anche se lacunosa, la proporzione annua media dei morti in
            azione o a seguito di ferite riportate in combattimento nell’esercito operante si
            attestava al 22% in fanteria e oscillava attorno al 5% per artiglieria e genio; molti
            dati su cui si basavano queste stime erano stati registrati approssimativamente (il
            censimento di incorporati e caduti spettava ai comandanti al fronte, che spesso
            svolgevano tal compito senza particolare cura) ma la valutazione complessiva
            che indicava in quasi il 90% il contributo dei reggimenti di fanteria e delle sue
            specialità (alpini, granatieri e bersaglieri) al conto finale dei morti ha resistito
            nei decenni a tutte le variazioni sul calcolo dei caduti.  In effetti, tale disparità
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            27   È un’immagine ricorrente. In questo caso cfr. S. Barbieri (tenente di complemento nel 160°
               fanteria), Il nostro onore di uomini, Orobiche, Bergamo 1968, pp. 104-105.
            28   L. Fabi, Gente di trincea. La Grande Guerra sul Carso e sull’Isonzo, Mursia, Milano 1994, pp. 215-278.
            29   P. Ferrari, Vita di guerra e di prigionia. Dall’Isonzo al Carso diario 1915-1918, Mursia, Milano 2004,
               pp. 22-35.
            30   G. Rochat, L’efficienza dell’esercito italiano nella Grande Guerra, in Id., Ufficiali e soldati. L’esercito
               italiano dalla prima alla seconda guerra mondiale, Gaspari, Udine 2000, pp. 27-54.
            31   ACS, PCM, Guerra Europea, b. 185, f. 19.22, s.f. Perdite sofferte dall’esercito italiano nel cor-
               so della guerra, da Comando Supremo-Ufficio ordinamento e mobilitazione a Presidente del
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