Page 55 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1861-1914) - Atti 24-25 settembre 2002
P. 55
LA NASCITA DELLA REGIA MARINA 39
sotto costa a torpediniere di non grandi capacità nautiche, e vi affiancano quella
dello sperone che, accoppiato ad una grande manovrabilità, può risultare ancora
un'arma pericolosa. Salvo che per il Dogali ed il Piemonte, costruiti in Inghilter-
ra, si ricorre a cantieri italiani. Lo stesso ministro progetta l'incrociatore-torpedi-
niere Goito, prototipo di una classe di quattro unità che perfeziona il precedente
Tripo/i ed apre la via alla successiva classe Partenope, di cui saranno costruite otto
unità. Seguiranno il Fieramosca, la classe Lombardia (sette unità) e il Marco Polo,
primo incrociatore corazzato costruito in Italia. Saranno inoltre posti sugli scali
gli ultimi avvisi italiani, Archimede e Galilei, utilizzati poi come cannoniere, men-
tre diverse altre navi saranno rimodernate.
Anche per le siluranti Brin riprende la linea dell'Acton, utilizzando gli stessi
costruttori inglesi e italiani; si rivolge inoltre al tedesco Schichau, che produce tor-
pediniere in acciaio, veloci e considerate sea going: la flotta ne riceverà novantuno,
di cui settantadue costruite in Italia su licenza; cinque unità più grandi della classe
Aquila fungeranno da conduttori di flottiglia. A conclusione di queste commesse, le
siluranti della flotta italiana raggiungeranno un buon grado di omogeneità.
Il primo rinnovo della Triplice e gli accordi mediterranei con l'Inghilterra
migliorano notevolmente, nel 1887, la posizione politica e militare dell'Italia. Lo
sviluppo della Regia Marina vi ha contribuito in maniera apprezzabile: la flotta
appare compatta, ben bilanciata, potente. Alla fine degli anni Ottanta è considera-
ta la terza del mondo, e il giudizio non si basa soltanto sulla consistenza della flot-
ta; c'è l'Accademia Navale di Livorno che desta interesse all'estero; la preparazio-
ne degli uomini è buona; le basi di Spezia, La Maddalena, Gaeta, Messina, Taran-
to, Venezia hanno superato la fase di punto d'appoggio. A tanto si è giunti soprat-
tutto grazie a cinque uomini: Augusto Riboty, Simone di Saint Bon, Guglielmo e
Ferdinando Acton, Benedetto Brin. I primi quattro sono valorosi ufficiali ammira-
gli della Regia Marina (tra di essi, due medaglie d'oro di Lissa), il quinto è un
ingegnere navale cosÌ capace e prestigioso che l'imperatore tedesco Guglielmo II
gli chiede consigli. Gli uomini sono sogni, ideali, speranze, e altre cose meno nobi-
li: nel caso di questi padri della nostra flotta mi sembra non retorico affermare che
la loro azione difficile e costante, ma sempre coerente con gli interessi del Paese e
la loro coscienza morale, ne misuri la dimensione storica in termini lusinghieri. La
loro opera appassionata ha fatto della Regia Marina Italiana, in vent'anni, uno
strumento di potenza che serve e servirà la politica estera nazionale forse anche al
di là del suo medesimo peso reale. E ne avrà piena coscienza Benedetto Brin, dive-
nuto ministro degli Esteri nel primo governo Giolitti.
Ma i problemi che il Regno si trova a dover fronteggiare sul mare sono molti
e incalzanti; così diventa grave che l'Italia abbia mancato il momento favorevole
per ottenere la cooperazione navale degli alleati quando ha stipulato con loro, nel
febbraio 1888, una convenzione militare che impegna la terza Armata italiana