Page 92 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1861-1914) - Atti 24-25 settembre 2002
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           dello  scontro  costituzionale  quanto  il  vigore  e  l'irremovibilità  della  decisione,  a
           Torino (e  poi  a Firenze e a  Roma)  le  debolezze degli  attori produssero sì  una de-
           cisione (con vincitori e vinti) ma anche una situazione di  lungo e fluido stalla. Ac-
           costando gli attori italiani a quelli tedeschi, le debolezze dei primi paiono risaltare.
               La Corona italiana sembrerebbe, a prima vista, un attore forte:  da essa si sen-
           tivano protetti e ad essa erano legati  il  corpo ufficiali  e gli  Alti  Comandi. Ma un
           accostamento a quella prussiana evidenziava, ogni altra considerazione generale a
           parte, quanto proprio il  discredito legato al comportamento del monarca nei gior-
           ni  delle  prove supreme  delle  battaglie  dell'Unità  rendeva  più  fragile  la  sua posi-
           zione  nell'arengo della  politica militare.
               Debole era anche  la  posizione dei  più  alti  militari.  In  Italia  uno stato mag-
           giore  moderno era ancora di  là  da venire,  e ciò contribuiva a  indebolire  più  che
           a  rafforzare le  alte gerarchie.  Anche  per tale via imperava la  divisione  personali-
           stica fra  i massimi  comandanti:  una divisione  nota a  tutti, che era stata all'origi-
           ne  fra  l'altro  di  alcune  delle  più  brutte  pagine  delle  guerre  risorgimentali,  che
           imbarazzava gli stessi comandi di fronte all'opinione pubblica e che soprattutto li
           esponeva ai  giochi  della Corona.
               Debole era  il  governo che,  tradizionalmente a Torino,  lasciava  fare  ai  mili-
           tari legati a filo stretto alla Corona. L'azione riformatrice di  Cavour in questo set-
           tore  aveva  operato  poco,  e  poi  venne  a  mancare  del  tutto  proprio  nel  1861
           quando essa sarebbe stata più  utile.
               Più  forte  che in Prussia era in quegli anni, in Italia, la posizione del  ministro
           della Guerra.  Sino a quando, nel  1882, non fu  istituita la  figura  di  capo di  stato
           maggiore e sino a quando, nel  1907, non  furono a questo riconosciuti poteri no-
           tevoli,  il  ministro  della  Guerra  aveva  formalmente  in  mano le  redini  dell'ammi-
           nistrazione. La maggiore forza formale però era lungi dal tradursi in presa completa
           e sostanziale. Non essendo mai, La  Marmora compreso, il  più anziano o il più in-
           fluente  dei  generali,  il  ministro  manteneva  una  triplice  e  imbarazzante  subordi-
           nazione. Egli doveva sottostare - all'interno dell'esercito -al volere delle commissioni
           dei generali e dei comandanti di corpo d'armata, più  alti  in grado e  più  influenti
           di  lui.  Doveva  sottoporsi - all'interno  del  governo - alle  potestà  finanziarie  del
           ministro del Tesoro e a  quelle  decisionali  del  presidente del consiglio.  Soprattut-
           to doveva  subordinarsi - nel  gioco  dei  poteri - all'influenza condizionante della
           Corona,  cui  solo  pochissimi  ministri  della  Guerra  seppero  opporre,  nelle  que-
           stioni maggiori,  qualche  resistenza.
               Lo  spazio  d'azione  del  ministro  era  inoltre  delimitato  dalla  potestà  parla-
           mentare  di  votare  sia  i bilanci  della  Guerra  (e  in  Italia  il  Parlamento e  la  classe
           politica  rifiutarono  a  lungo  ogni  ipotesi  di  bilancio  consolidato)  sia  l'entità  del
           contingente annuale: punti che come abbiamo visto, erano stati all'origine del Kon-
           fliktzeit  prussiano. Questo faceva del parlamento italiano e del controllo civile un
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