Page 92 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1861-1914) - Atti 24-25 settembre 2002
P. 92
76 NICOLA LABANCA
dello scontro costituzionale quanto il vigore e l'irremovibilità della decisione, a
Torino (e poi a Firenze e a Roma) le debolezze degli attori produssero sì una de-
cisione (con vincitori e vinti) ma anche una situazione di lungo e fluido stalla. Ac-
costando gli attori italiani a quelli tedeschi, le debolezze dei primi paiono risaltare.
La Corona italiana sembrerebbe, a prima vista, un attore forte: da essa si sen-
tivano protetti e ad essa erano legati il corpo ufficiali e gli Alti Comandi. Ma un
accostamento a quella prussiana evidenziava, ogni altra considerazione generale a
parte, quanto proprio il discredito legato al comportamento del monarca nei gior-
ni delle prove supreme delle battaglie dell'Unità rendeva più fragile la sua posi-
zione nell'arengo della politica militare.
Debole era anche la posizione dei più alti militari. In Italia uno stato mag-
giore moderno era ancora di là da venire, e ciò contribuiva a indebolire più che
a rafforzare le alte gerarchie. Anche per tale via imperava la divisione personali-
stica fra i massimi comandanti: una divisione nota a tutti, che era stata all'origi-
ne fra l'altro di alcune delle più brutte pagine delle guerre risorgimentali, che
imbarazzava gli stessi comandi di fronte all'opinione pubblica e che soprattutto li
esponeva ai giochi della Corona.
Debole era il governo che, tradizionalmente a Torino, lasciava fare ai mili-
tari legati a filo stretto alla Corona. L'azione riformatrice di Cavour in questo set-
tore aveva operato poco, e poi venne a mancare del tutto proprio nel 1861
quando essa sarebbe stata più utile.
Più forte che in Prussia era in quegli anni, in Italia, la posizione del ministro
della Guerra. Sino a quando, nel 1882, non fu istituita la figura di capo di stato
maggiore e sino a quando, nel 1907, non furono a questo riconosciuti poteri no-
tevoli, il ministro della Guerra aveva formalmente in mano le redini dell'ammi-
nistrazione. La maggiore forza formale però era lungi dal tradursi in presa completa
e sostanziale. Non essendo mai, La Marmora compreso, il più anziano o il più in-
fluente dei generali, il ministro manteneva una triplice e imbarazzante subordi-
nazione. Egli doveva sottostare - all'interno dell'esercito -al volere delle commissioni
dei generali e dei comandanti di corpo d'armata, più alti in grado e più influenti
di lui. Doveva sottoporsi - all'interno del governo - alle potestà finanziarie del
ministro del Tesoro e a quelle decisionali del presidente del consiglio. Soprattut-
to doveva subordinarsi - nel gioco dei poteri - all'influenza condizionante della
Corona, cui solo pochissimi ministri della Guerra seppero opporre, nelle que-
stioni maggiori, qualche resistenza.
Lo spazio d'azione del ministro era inoltre delimitato dalla potestà parla-
mentare di votare sia i bilanci della Guerra (e in Italia il Parlamento e la classe
politica rifiutarono a lungo ogni ipotesi di bilancio consolidato) sia l'entità del
contingente annuale: punti che come abbiamo visto, erano stati all'origine del Kon-
fliktzeit prussiano. Questo faceva del parlamento italiano e del controllo civile un