Page 108 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1944-1989) - Atti 27-28 ottobre 2004
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                 "Se si  può identificare un momento in cui, non solo allivello di singoli respon-
             sabili  o  di  osservatori  isolati,  la  percezione dell'effettiva impotenza  italiana prese
             forma in tutta la sua evidenza, questo fu senz'altro l'estate del 1946 ( ... ).  Tutta l'at-
             tenzione si  sarebbe a  quel  punto concentrata sull'elaborazione definitiva del  trat-
             tato di  pace, sui  tentativi di  attenuarne le  clausole, sul  loro fallimento, sulla scelta
             finale se  ratificarlo o  no" (84).
                 Il  tempo dei  commenti su voci,  notizie e smentite è quindi giunto al  termine.
             L'ultimo atto è alle porte e il  29 luglio 1946 si apre, sempre al  Lussemburgo di Pa-
             rigi,  la  Conferenza di  pace, o "dei Ventuno".  La stampa italiana accoglie la notizia
             con tante domande, qualche tenue speranza e alcune disillusioni.  Da un lato si  ri-
             badisce l'ineluttabilità di  un atto che conchiude un lungo ciclo iniziato nel  1940 o
             addirittura nel  1922. Per l'Avanti!,  "La vita del  Paese  non finisce  con la  firma  di
             un  trattato di  pace e  ( ... )  la  nostra  politica  estera per certi  lati  comincia  dopo
             la  firma del tratto stesso"; tuttavia l'avvenire del  Paese - prosegue l'organo socia-
             lista - risiede nell'atteggiamento che avranno i vincitori:  essi  "( ... ) hanno tutto da
             perdere e niente da guadagnare sacrificando adesso, ad una apparente intesa, le esi-
             genze profonde del  nostro Paese" (85).
                 Anche  Borsa  riprende  la  questione  delle  conseguenze  devastanti  di  even-
             tuali  clausole  capestro.  Il  rischio  risiede  per  il  direttore  del  Corriere  nel  fatto
             che  le  "correnti  reazionarie" - intendendo con esse  tanto i  nostalgici  del  regi-
             me quanto quelli della monarchia - possano venire incoraggiate da un trattato
             umiliante  e  nocivo(86).  Da  notare come  la  più  volte  ribadita  posizione di  Bor-
             sa,  oltre  a  essere  stata  già  precedentemente  contestata  dai  monarchici (87),  sia
             speculare a quella comunista. Per Scoccimarro il  lettura è completamente ribal-
             tata:  i  reazionari  non  rischiano  di  riemergere  in  conseguenza di  un diktat,  ma
             è il diktat ad essere la naturale reazione di potenze che vedono un'Italia ancora in bi-
             lico tra democrazia e reazione:
                 "Abbiamo bensì liquidato la  monarchia, corresponsabile col fascismo della no-
             stra rovina, ma le  vecchie classi  dirigenti  nazionaliste ed imperialiste sono ancora
             ben lungi  dall'avere reso conto delle loro malefatte, anzi, conservano tanta libertà
             e  possibilità di  azione  nel  campo nazionale ed internazionale da costituire ancora



                (84)  Enrico  Dccleva, cit.,  p.  382.
                (85)  "La posta in  gioco", in:  Aval1ti!, 23  luglio  1946, p.  1.
                (86)  B.  (Mario Borsa), "Noi e i vcntuno", in:  Nuovo Corriere della Sera,  30 luglio 1946, p.  1.
                (87)  Giulio Morando, "Non imbrogliamo le carte", in:  Il Mattino d'Italia, 5 luglio 1946, p.  1.
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