Page 66 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1944-1989) - Atti 27-28 ottobre 2004
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STEFANO  Il.  GALLI

             fondata sulla solidarietà tra i componenti della grande coalizione antinazista. Da una
             situazione  ciel  genere gli  sconfitti,  come l'Italia,  non potevano che  uscire stritolati e
             anche i tentativi compiuti dai leader italiani - De Gasperi, Togliatti e Nenni - cii  av-
             viare un rapporto privilegiato con le potenze più affini - rispettivamente gli Stati Uni-
             ti, l'Unione Sovietica e la Gran Bretagna laburista - non sortirono effetto alcuno" (6).
                 I lavori preparatori per la  Conferenza della pace di  Parigi,  in  verità, erano co-
             minciati a Londra nel mese di gennaio 1946, quando i rapporti tra gli Alleati e l'U-
             nione Sovietica erano piuttosto tesi.  A Jalta, Roosevelt e Churchill avevano conces-
            so a Stalin il  «controllo" della Jugoslavia e dei territori che essa rivendicava. Proprio
             per ciò, Stalin si  era nuovamente avvicinato a Tito e il ministro degli  Esteri di Mo-
            sca, Molotov, aveva sostenuto che, pur essendo abitata in  prevalenza da una popo-
             lazione cii  origine italiana, la città giuliana si sarebbe dovuta ricongiungere al suo re-
             troterra "naturale", cioè  la Jugoslavia.  Coperto dal  rinnovato appoggio sovietico,
             fra gennaio e febbraio  1947, Tito aumentò da nove a quattordici le  divisioni  jugo-
             slave di stanza nella Zona B, ponendosi nella prospettiva di  un'azione militare, qua-
             lora la Commissione alleata avesse preso clelle  decisioni favorevoli  all'Italia. In quel
             momento,  infatti,  erano state avanzate almeno quattro proposte di  confine per ri-
             solvere la questione. Si  trattava cii  proposte eminentemente geopolitiche, assai lon-
             tane  cla  criteri  di  natura etnica e  linguistica,  storica e  culturale:  quella  americana
             prevedeva l'assegnazione all'Italia cii  circa 370.000 italiani e 180.000 slavi,  mentre
             sarebbero  rimasti  in Jugoslavia 50.000 italiani;  quella inglese  prevedeva l'assegna-
             zione all'Italia di circa 356.000 italiani e 152.000 slavi, mentre sarebbero rimasti in
            Jugoslavia 64.000 italiani; quella francese  prevedeva l'assegnazione all'Italia di cir-
             ca 294.000 italiani  e  113.000 slavi,  mentre rimanevano in Jugoslavia  125.000 ita-
             liani;  in base a quella sovietica, infine,  nessuno slavo sarebbe rimasto entro i confi-
             ni  italiani e,  per contro, 600.000 italiani sarebbero rimasti in territorio jugoslavo.
                Ancora oggi ci  si  interroga sulle  ragioni che non portarono alla soluzione più
             ovvia, quella del  ricorso a un plebiscito.  Dell'ipotesi di  ricorrere alla  via democra-
             tica per consentire ai  giuliani di  scegliere  liberamente la  loro appartenenza politi-
            ca e statuale s'era  parlato anche nel  corso della Resistenza e  gli  sloveni  e i croati
             avevano sin  da  subito,  e con  fermezza,  manifestato la loro contrarietà verso  que-
             sta soluzione, da un  lato per la  grande incertezza che aleggiava attorno ai  risultati
             e dall'altro per la  natura della  procedura plebiscitaria, giudicata "borghese" e del
             tutto incompatibile con il nascente regime titino. A questa procedura essi contrap-
             posero la soluzione - tutta politica - del "plebiscito di sangue": ai  fascisti  e ai colla-
             bot'azionisti  non  era  consentito  esprimere  democraticamente  la  propria  opinione,



               (6)  R.  Pupo, Il  lUI/go esodo, cit., p.  113.
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