Page 96 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1944-1989) - Atti 27-28 ottobre 2004
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                 Borsa l'i percorre nuovamente, come aveva fatto agli  inizi  d'agosto, la storia di-
             plomatica delle relazioni italo-britanniche e aggiunge ulteriori elementi (come la ci-
             tazione del  "colpo di  timone" compiuto dal Foreign  Office dopo Fashoda con l'él1-
             tente cordiale),  per domandarsi  quale  può essere  il  senso di  un  atteggiamento cosÌ
             draconiano.  Misure draconiane contro l'Italia, sia in termini  territoriali che econo-
             mici  (le colonie, come si  vede,  appartengono sempre più  ai  ricordi e  non all'attua-
             lità) rischiano e rischieranno vieppiù di far montare in Italia un revanscismo dai net-
             ti  contorni reazionari e  nostalgici:  insistere sul castigo oltre ogni  limite, ricaccereb-
             be  l'Italia nel  vortice del  "nazionalismo irredentistico dal  quale ci  siamo affrancati
             dopo venticinque anni di strazio" (.) I).  Il  l'i ferimento non è tanto ali 'attività della de-
             stra  qualunquista,  la  quale  anzi  appare  in  questo  frangente  complessivamente alli-
             neata  sulle  posizioni  degli  altri  partiti  e  finanche  del  Corriere,  soprattutto quando
             sottolinea che "Italia del dopoguerra non è l'Italia del  fascismo e che la responsabi-
             lità  del  fascismo e  delle sue scelte va  fatta  risalire ai  finam.iatori  esteri prima e  agli
             alleati stranieri  dopo di Mussolini (.H);  inizia a  farsi  strada una posizione che tende-
             rebbe a  l'i fiutare  il  trattato, con  un gesto  plateale e  orgoglioso:  insomma, "un atto
             di  volontà,  un  esplicito  no",  come scrive  il  Croce (33).  Il  problema  non  è  tanto  lo
             scatto d'orgoglio di  un rispettato intellettuale e  politico come il  presidente del Par-
             tito liberale, e  neppure le  più passionali esternazioni dei  Nitti e degli  Orlando. Il  ti-
             more, sollevato da più parti, che a tali  posizioni si  aggiungano linee politiche di  più
             netta derivazione  nazionalista,  monarchica e  finanche  fascista,  pronte a  respingere
             il  trattato, a  mobilitare  la  piazza e  magari  a  scaricare sugli  eventuali  firmatari  le
             stesse responsabilità che la destra militarista tedesca aveva scaricato su Rathenau.
                 Anche per tali  motivi appare per la  prima volta,  dalle pagine del Corriere,  l'i-
             dea di  firmare, ratificare e  poi rivedere l'atto internazionale che si  sta discutendo.
             A sollevare questa nuova linea è  Carlo Sforza, che in  un  ispirato articolo di  fon-
             do commenta "andamento della Conferenza dei ministri  degli  Esteri cercando di
             sminuire la  portata dell'oggetto del  contendere:
                 "Nessun trattato ha fatto  mai della storia:  i trattati sono atti  notarili che ne ri-
             trattano  un  episodio.  Niente  più" e  ancora,  più  avanti:  "Nessun trattato è  defini-
             tivo:  anche il  miglior trattato è una pietra di  un edificio da completare poi" (34).



                (31)  C.I·:., "Una pace positiva",  in:  Corriere d'Informazione,  16  settembre  1945, p.  1.
                (32)  "]'olitica  estera  dell'U.Q. ",  in:  L'Uomo  Qualunque,  anno  Il,  n.  38,  7  novembre
             1945,  p.  2.
                (33)  Bencdetto Croce, Scritti e discorsi politici (1943-1947), voI.  II,  Laterza, Bari, 1973, p. 411.
                (34)  Carlo Sforza, ''CItalia a Londra", in:  Corriere d'IlIformazùJJ/e,  18 settembrc 1945, p.  1.
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