Page 99 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1944-1989) - Atti 27-28 ottobre 2004
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!:OPINIONE  PUBBLICA E  LE  CLAUSOLE  DEL  TRAlTATO  DELLA  PACE  DI PARIGI

        da Urss e Jugoslavia)  e generale comprensione verso la nazione cobelligerante.
        E  quindi,  se  ormai  sulle  colonie  "non  abbiamo  molte  speranze"  per  i  confini
        forse  qualcosa di  buono può capitare (45).
            Ma le  speranze sono presto disattese.  Soprattutto, il  trattato con l'Italia è ul-
        teriormente posposto: si parla dell'estate 1946, a ben tre anni da un armistizio che,
        de jure, è ancora in pieno vigore. "Noi italiani" scriverà Borsa con amaro sarcasmo
        "veramente non ci dobbiamo lamentare. Con comodo, avremo, che diavolo, la no-
        stra pace!".  Ed ecco di  nuovo il  paragone con Versailles e l'evocazione di  una pa-
        rola, diktat,  che  diverrà  ben  presto il  sinonimo del  trattato, che verrà discusso a
        Parigi.  Per  Borsa  non  c'è più  speranza:  le  colonie  saranno  perdute,  perduta gran
        parte della Venezia Giulia, perdute Briga e Tenda (la decisione dei "Grandi" di ac-
        cogliere la  Francia è una garanzia del destino delle città sulle Alpi occidentali):
            "In  tutto questo  procedimento il  nostro sarà considerato e trattato come un
        Paese  nemico, così come è stata considerata e trattata nel  1919 la Germania a cui,
        senz'altro, venne presentato a Versailles per la  firma il  famigerato Diktat".
            Nulla è valso degli sforzi  compiuti dalla "nuova Italia":
            "II  nostro sganciamento dalla Germania, che segnò la prima crepa nel campo
        nemico,  la  nostra cobelligeranza,  la  nostra lotta di venti  mesi accanto agli  alleati,
        l'eroismo dei nostri partigiani, la nostra insurrezione contro il  fascismo  ( ... ), tutto
        ciò ( ... ) non ha contato un gran che e non ci ha ottenuto quelle attenuanti che noi,
        non irragionevolmente, ci  ripromettevamo".

            Cltalia  paga per  il  direttore  del  Corriere  "il  male  che  il  fascismo  ha fatto  al
        mondo". Ora, e qui  sembra davvero di  rileggere Sforza e più ancora De Gasperi,
        è  necessario accettare, subire,  il  diktat e quindi "concordemente lavorare per noi
        stessi", per risollevare il Paese dalla catastrofe. Il  1945 si chiude con un bilancio al-
        quanto negativo, ma soprattutto con un'incertezza vieppiù trasformata in fatale ac-
        cettazione di un destino ineluttabile.
            Nei  mesi  successivi  l'attenzione dei  media si  concentra sul  duplice appunta-
        mento elettorale e referendario, e il  tema del  destino dell'Italia e del trattamento
        ad essa riservato dai  vincitori viene affrontato soprattutto dai  partiti repubblica-
        ni  come strumento di  propaganda antimonarchica:  l'Italia sta pagando gli errori,



           (45)  M.B.  (Mario  Borsa),  "Ci  vuole  il  tassì",  in:  Corriere  d'Informazione,  15  dicembre
        1945, p.  1.  Il  titolo si  riferisce a  una vignetta dell'inglese  "Punch" dove la  Pace cerca di  pro-
        porre a Stalin, Truman e Attlee, che la circondano a cavallo di  potenti motociclette nel tentati-
        vo di convincerla a prendere posto ognuno sulla propria, di  lasciare i loro mezzi e di prendere
        tutt'insieme con lei  un  auto pubbli.ca.
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