Page 106 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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106 CISM - ACtA del Convegno nAzIonAle dI StorIA MIlItAre - roM A 10 ottobre 2007
colpevole di tradimento, alla pena di morte previa degradazione, Bennici cominciava
nell’autunno del ’62 la sua peregrinazione tra le fortezze d’Italia, dopo che la pena
capitale, il 26 ottobre, era stata commutata nei lavori forzati a vita: il 29 era a Napoli,
a Castel Capuano, poi sull’isola di S. Stefano, a un braccio di mare da Ventotene,
quindi a Nisida. Qui nel marzo del ’63 apprendeva della commutazione della pena in
relegazione a vita, ma solo in maggio veniva trasferito in Piemonte, dove, tra Saluzzo
e Vinadio, trascorreva due anni, fino al condono della pena, nel marzo del 1865. Le
difficili condizioni materiali e il pesante trattamento descritti da Bennici venivano
sofferti soprattutto come simbolo, da un lato, di un accanimento politico percepito
come iniquo, dall’altro come parte integrante di una volontà di degradazione e di
equiparazione allo status del criminale comune. Le carceri in cui veniva recluso si
rivelavano poi la zona d’ombra del Regno di Vittorio Emanuele, dove le nuove ga-
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ranzie costituzionali non erano entrate e spesso la sorte dei detenuti era affidata a
vecchi funzionari borbonici. Esperienza diretta e reminescenze storiche e letterarie
si intrecciavano:
“Transitando ammanettati per Saluzzo, scorgemmo il monumento innalza-
to a Silvio Pellico da’ suoi concittadini; e d’ineffabile rammarico ci era il pen-
sare che, nella sua terra nativa, avevamo trovato aguzzini pari se non peggiori
di quelli dello Spielberg .”
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C’erano aspetti che, nell’ottica di un uomo delle convinzioni e del passato di Ben-
nici, rendevano ancora più odiosa e paradossale la sorte dei disertori di Aspromonte.
I settori politici in cui egli plausibilmente si riconosceva denunciavano da sempre la
mancata valorizzazione di tutte le forze vive del paese e gli usi degradanti a cui era
sottoposto l’Esercito, che ne snaturavano il ruolo sociale. La visione di un reduce di
Palestro che in carcere piangeva per la fame non poteva che risultare scandalosa per
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il luogotenente siciliano, così come la dimensione collettiva di quella vicenda:
“Mi addolorava il pensiero di 200 e più robusti soldati delle varie armi e
d’ogni provincia d’Italia – molti già bassi ufficiali e di più decorazioni premiati
pel loro valore – ora condannati al patibolo, e non graziati che per essere get-
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tati, a morire di strazio, nelle galere .”
37 «Altre scene funeste e altri nomi bisogna citare, e poi il lettore giudicherà se le carceri d’Italia
per noi sono state quelle di un regno costituzionale» (Ivi, p. 25).
38 Ivi, p. 44.
39 Cfr. ivi, p. 43.
40 Ivi, p. 23.