Page 108 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            e dopo gli scontri. Sia le settimane precedenti alla guerra che la fase successiva alla
            fine del conflitto fornirono ai garibaldini molti motivi di malcontento e di irrequie-
            tezza. L’inazione forzata e le carenze del trattamento materiale a cui erano sottoposti
            venivano del resto individuati dalle stesse autorità come fattori di rischio, tali da pro-
            piziare in alcuni casi estremi l’ammutinamento. Era quanto accaduto il 27 maggio a
            Como, dove 21 volontari erano stati arrestati per essersi ribellati al loro comandante
            Clemente Corte: provenienti nella maggior parte da Genova e Torino, essi si erano
            lamentati violentemente della propria condizione, arrivando a scagliare pietre contro
                                                                                    44
            il picchetto di volontari che li conduceva a forza all’Ufficio di Pubblica Sicurezza .
            Liquidato dagli stessi compagni – a detta dei Carabinieri – come l’atto di una spia
            austriaca, sempre a Como, a fine maggio, si era verificato un altro piccolo incidente,
            terminato con l’arresto di un ventottenne torinese, colpevole di aver pubblicamente
                                                                       45
            inneggiato ai tedeschi «perché i nostri ci lasciano morire di fame» . Solo più tardi
            si sarebbero intensificate, in chi rappresentava a vario titolo le istituzioni militari e
            civili, le preoccupazioni che le intemperanze assumessero connotazioni politiche; ma
            fin da subito emersero le difficoltà – anche per garibaldini gloriosi e indubbiamente
            autorevoli come Fabrizi, Nicotera o Corte – di far accettare ed eseguire ai volontari
            ordini non propri ed estranei alla retorica più che alla pratica del garibaldinismo. Ciò
            si traduceva talvolta in rapporti tesi e insofferenze, da parte di uomini formalmente
            vincolati, nel ’66, da un «contratto» di obbedienza militare, ma rivendicanti in cuor
            loro una certa autonomia di giudizio e di azione. Mentre gli ufficiali avevano tenden-
            zialmente alle spalle una militanza garibaldina o un itinerario patriottico, la grande
            massa dei volontari era in questo senso più eterogenea, accogliendo anche una nuova
            generazione di giovani, che spesso non erano legati ai loro superiori da esperienze
            comuni o da frequentazioni politiche più o meno dirette. Ciò complicava le cose,
            metteva a rischio quel tacito patto di fiducia su cui spesso si erano rette le iniziative
            garibaldine.
               Era del resto il quadro stesso della guerra regia a determinare un condizionamento
            insuperabile nei rapporti tra i vari livelli dell’Esercito volontario. D’altronde, non per
            forza disapprovate dai comandanti, le disposizioni e le regole che essi imponevano ai
            propri uomini ne facevano in ogni caso degli «ambasciatori» di volontà altrui.
               L’impatto dell’«Obbedisco» di Garibaldi del 9 agosto fu quasi attutito dal trauma
            più vasto e profondo delle battaglie perdute, della prova fallita, delle terre acquisi-
            te per interposta persona e delle valli trentine – uniche conquistate sul campo, dai


            44  AUSSME, G-8/463, Comandante 4  Legione Carabinieri Reali, Divisione di Como a Coman-
                                          a
               dante Divisione Militare Territoriale, Como, 28 maggio 1866.
                             a
            45  Ivi, Comandante 4 Legione Carabinieri Reali a Comandante Divisione Militare Territoriale,
               Milano, 1 giugno 1866.
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