Page 98 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            2. Equivoci e diserzioni. Gli avvenimenti del 1862
               Qualche mese dopo, nell’estate del 1862, con i fatti dell’Aspromonte, il giovane
            Esercito italiano sarebbe stato di nuovo percorso da tensioni e conflitti di legittimità.
            Le ambiguità del re e di Rattazzi, il disorientamento delle autorità periferiche rispetto
            alle reali intenzioni del governo, la crescente tensione tra i vertici delle forze regolari
            e i settori democratici, le pressioni internazionali, i rancori e gli equivoci lasciati
            aperti dagli eventi del ’60 e dall’emarginazione delle componenti politicamente più
            avanzate contribuirono a comporre un nodo conflittuale che si arrivò a sciogliere
            ordinando ai bersaglieri di fare fuoco su Garibaldi, il 29 agosto, per fermare la sua
            avanzata verso Roma.
               La temperie concitata e confusa della primavera e dell’estate del 1862 sollecitò
            una ricca attività epistolare da parte delle ex camicie rosse rimaste nei depositi pie-
            montesi nella speranza di un’autentica carriera militare. Queste lettere erano rivela-
            trici del clima esacerbato e convulso di quelle settimane, quando alcuni ex garibaldini
            guardavano con comprensibile sconcerto alla prospettiva di doversi trovare e sparare
            sui proprio vecchi compagni, arrivando a mettere in discussione ruoli, identità, fe-
            deltà, speranze. È particolarmente eloquente la missiva che indirizzava a Francesco
            Crispi, ai primi di agosto, Francesco Sprovieri, ufficiale del Regio Esercito e futuro
            deputato, indotto a rassegnare le proprie dimissioni dopo gli atti formali che re e
            Ministero avevano avviato per mettere inequivocabilmente fuori legge l’iniziativa
            garibaldina:


                  “Forse vi meraviglierete che vi scriva, circostanze imperiose mi costringo-
               no a rivolgere a voi, per chiedere quei consigli che non me li negherete. […]
               Da Torino ho cercato la mia dimissione, mi hanno obbligato d’andare al corpo
               per darla, appena giunto nel corpo diedi la mia dimissione […]. [Ma addussero
               questioni formali per respingerla]. […] ora loro vogliono umiliarci, avvilirci in
               tutto. La fusione è stata ed è tutta fittizia e chi ha sangue nelle vene non vi può
               rimanere, è impossibile gli uomini della Vandea affratellarsi con i figli della ri-
               voluzione, questa gente non ha altro che maniere Loiolesche per avvilirci a me
               nò [sic] per Dio, non rimango neppure se mi fanno Generale d’Armata, o mi
               danno subito la mia dimissione o bruscerò le cervella a qualche d’uno o pure
               mi bruscerò le cervella. Io non conosco altro capo che il mio Generale. Come
               possono pretendere che io rimango dietro quel ordine del giorno del ministro.
               Andare contro i miei amici e bagnarmi le mani di sangue mai. Immaginate voi
               in che stato mi trovo, per carità datemi consiglio, aiutatemi acciò io posso ri-
               tornare libero come il mio pensiero. Credete a me la fusione non vi regna e chi
               dei Volontari rimane, ci rimane per il pane e mi fanno schifo si [sic] per Dio.
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