Page 44 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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44 150° anniversario della ii Guerra d’indipendenza. atti del conveGno
dovrebbero abbracciare questa causa considerandola anche la loro.
E qui è proprio La Farina che parla esponendo le sue più intime convin-
zioni, le stesse che aveva esposto anni prima, le stesse che si ritrovano tra le
pagine del suo epistolario politico.
«I popoli, in generale, non si gittano nella via della rivoluzione, o non
perseverano in essa, se non quando han coscienza che il nuovo Stato, al quale
aspirano, sia per recar loro maggiore utilità di quello nel quale stanno. Or il
più sentito bisogno di un popolo ne’ tempi moderni è il completo sviluppo
delle proprie forze economiche».
In passato ricchezza e prosperità erano legate alla libertà dello Stato o della
città e non alle sue dimensioni. Al presente i progressi della civiltà e l’esisten-
za di grandi Stati impongono il raggiungimento dell’unità.
«Le grandi linee di strade ferrate, i grandi stabilimenti industriali, le gran-
di intraprese commerciali non sono possibili e sicure che negli Stati grandi
e unificati […]. L’agricoltura, l’industria, il commercio di un piccolo Stato
rimarranno sempre al di sotto di quelli delle grandi nazioni unitarie, non fosse
altro perché a’ piccoli Stati mancheranno sempre e quei capitali e quei mezzi
d’istruzione e quella sicurtà e quelle relazioni che abbondano nelle grandi
nazioni».
I nostri porti sono trascurati a vantaggio di quelli francesi perché non sono
porti di un grande Stato. Le nostre ferrovie non servono finché non colleghe-
ranno il Mediterraneo all’Adriatico. Il nostro commercio non si potrà svilup-
pare finché il transito di uomini e merci verrà ostacolato da dogane e polizie.
«E’ la sola unità politica quella che, unificando interessi, leggi e credito,
moltiplicando ed ordinando con pensiero comune i mezzi rapidi di comuni-
cazione, riunendo i grossi capitali necessari per le grandi industrie, creando
grandi mercati, sopprimendo ogni interno impedimento al libero moto del
commercio, assicurandolo colla riputazione e colla forza nelle sue intraprese
lontane, potrà far risalire l’Italia a quel grado di prosperità e di gloria, dove, in
proporzione de’ tempi, trovavasi collocata nel medio evo».
Di fronte a questa ottimistica prospettiva viene descritta la sconfortante
realtà di un’Italia divisa da troppe dogane, troppe leggi, pesi, misure e monete
differenti. Il risultato è la perdita di prestigio e soprattutto di mercati a van-
taggio di una industria più moderna e organizzata. Le industrie manifatturiere
straniere hanno soppiantato tutte le più celebri industrie italiane: quella dei
cristalli e specchi di Venezia come quella dei damaschi di Firenze, come quel-
la delle sete di Napoli e di Catania che non possono sostenere la concorrenza
della Boemia e della Francia.
Altri danni provengono dalla mancanza di un mercato interno per gli orto-