Page 240 - Il Risorgimento e l'Europa - Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario - Atti 9-10 novembre 2010
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               La parola d’ordine rimase quella dettata da Napoleone III a Chambéry:
            fare in fretta. Dopo altri frenetici scambi  di messaggi Napoleone implorò:
            “Cercate di avere ragione o una sembianza di ragione”. Continuava il gioco
            delle parti. Dopotutto, se fosse avvenuta, come avvenne, per iniziativa pro-
            pria anziché grazie all’aiuto determinante di Londra o di Parigi, l’unificazio-
            ne d’Italia  non mutava in misura determinante la bilancia tra le grandi poten-
            ze. Per gli equilibri tra gli imperi l’unificazione italiana si risolveva in una
            rivoluzione a somma zero.
               Essa  riuscì proprio perché non costituiva né una minaccia per le grandi
            potenze né uno speciale vantaggio per una di esse né immetteva una potenza
            nuova tra i protagonisti della storia europea. Perciò Parigi,  Vienna, San
            Pietroburgo, Berlino, Madrid non ebbero alcuna fretta di riconoscere il nuovo
            Stato. Venne proclamato dal Parlamento ma per le Cancellerie era tamquam
            non esset. Altrettanto accadde per la Romania tra il 1859 e il 1866.
               Una volta raggiunta l’unità politica sotto Vittorio Emanuele II di Savoia,
            gli italiani avrebbero avuto il loro daffare per unirsi davvero. L’insegna della
            Nuova Italia sarebbe stata posta su un edificio in gran parte decrepito, tutto
            da ristrutturare, non solo nel Mezzogiorno ma anche nell’antico regno che
            prendeva titolo regio da un’isola dai problemi enormi.
               Perciò Napoleone III lasciò fare. Aveva instaurato il suo potere e il suo
            prestigio come campione  delle  nazioni,  non poteva reprimere  l’unica  che
            stava raggiungendo la meta anche grazie all’impulso che proprio lui le aveva
            dato dopo l’attentato di Felice Orsini, gli accordi di Plombières, l’intervento
            a sostegno del regno sardo contro l’Austria.


               L’8 settembre 1860 Cavour intimò al cardinale Giacomo Antonelli, segre-
            tario di Stato di Pio IX, lo scioglimento delle “truppe mercenarie straniere al
            servizio del Governo pontificio”. Era l’argomento usato dall’Austria nell’apri-
            le 1859 per aggredire il regno di Sardegna. Aggiunse  inoltre che l’esercito
            italiano  aveva l’incarico  di impedire  la repressione  “dei sentimenti”  della
            popolazione delle Marche e dell’Umbria “in nome dei diritti dell’umanità”.
               L’armata “piemontese” comandata dal modenese generale Fanti comprese
            due corpi. Uno, agli ordini di Enrico Cialdini, puntò dal confine su Ancona
            con due colonne, una lungo la costa (Cattolica-Pesaro-Senigallia), l’altra per
            i colli (Saledeucio-Urbino-Castelfidardo). Il secondo corpo, al comando di
            Enrico Morozzo della  Rocca, da  Arezzo irruppe nell’Umbria:  Città  di
            Castello-Perugia-Foligno-Spoleto.
               L’armata di Fanti contava circa 33.000 uomini, 2500 cavalli e 78 cannoni.
            I pontifici erano poco più di 18.000, con 500 cavalli e 30 cannoni, ma aveva-
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