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104 la neutralità 1914 - 1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
Dopo Sedan, dunque, questo nuovo modello di esercito prese a chiamarsi or-
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gogliosamente “nazione armata” . Nasceva così il “grande equivoco” nominale
di cui si parlava in apertura. Di fatto, a cavallo fra XIX e XX secolo in Europa si
contesero il campo due “nazioni armate”: la prima, il modello ideale, destinato a
rimanere tale, la seconda un progetto concreto, realizzato nel giro di pochi anni,
ma frutto di decenni di preparazione, le cui radici affondavano nelle guerre antina-
poleoniche. Questo “esercito di popolo” poteva mobilitare milioni di uomini, era
dotato di armi all’avanguardia fornite dalla più moderna tecnologia, era guidato
da uno stato maggiore, vero “cervello dell’esercito” .
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E stato autorevolmente affermato che si trattava di una «di un’illusione di
nazione armata » poiché, di fatto, «la Prussia aveva trovato il modo di far passa-
re tutti i cittadini nella caserma senza peraltro organizzare militarmente l’intera
nazione e dietro la facciata della nazione armata - in realtà era rimasto l’esercito
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permanente» .
Effettivamente, esistevano delle affinità formali fra i due modelli, che i “prus-
sofili” sottolineavano con insistenza e che furono all’origine dell’”equivoco”. L’e-
sercito tedesco aveva fatto proprio principio del “sacro dovere” di ogni cittadino
di servire la patria, eliminando ogni forma di privilegio, a cominciare dalla odiosa
esenzione dal servizio per denaro (surrogazione), mantenuta anche dalla Rivo-
luzione francese e da Napoleone; esso si proponeva inoltre come “scuola della
nazione”, con l’obiettivo di fare l’uomo e il cittadino - insieme al soldato - for-
nendogli quella sana educazione fisica, marziale, da sempre nel programma della
democrazia europea ottocentesca e dei partiti socialisti.
Più che i punti di contatto, però avrebbero dovuto essere sottolineate le dif-
ferenze sostanziali tra le due “nazioni armate”: l’una esclusivamente difensiva
e a carattere temporaneo, l’altra strumento di difesa, ma anche di conquista e di
12 Letteralmente, la traduzione del titolo tedesco dell’opera di Colmar von der Goltz suona “popolo
in armi” ; viene tradotta però “nazione armata” in italiano, ma anche “nation armée” in francese
e “nation in arms” in inglese. Nella traduzione italiana fatta nel 1894, il capitano Pasquale
Meomartini in un primo momento aveva usato l’espressione “popolo in armi”, sostituita dalla
formula “nazione armata” nella successiva edizione. L’ufficiale motivava il cambiamento soste-
nendo che «nella locuzione italiana “popolo in armi “ c’e un significato riposto di insurrezione,
il quale è certo in antitesi con il pensiero dell’autore». Senza entrare nel merito dell’argomen-
tazione, merita di essere osservato che alla meta’ degli anni Novanta un capitano dell’esercito
italiano ritenga a tal punto innocua la formula “nazione armata”, da poterla utilizzare riferendosi
all’esercito prussiano; un’operazione, peraltro, valida anche per per l’esercito italiano che Ri-
cotti- Magnani all’inizio degli anni Settanta aveva riformato sulla base di quel modello.
13 S. Wilkinson, The Brain of an Army. A popular account of the German General Staff, London,
1890, trad it. il cervello di un esercito, Roma, 1899. Anche in questo campo la Germania antic-
ipò i tempi e costrinse le altre potenze all’imitazione.
14 Cfr. J. Monteilhet, Les institutions militaires de la France (1814-1932). De la paix armée
a la paix désarmée, Alcan, Paris, 1932, p. XIX.

