Page 49 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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sociale femminile, dando una panoramica di come era concepito all’estero, in Inghil-
terra e Germania, sottoponendo alle lettrici italiane alcune domande al riguardo.
Nell’ottobre del ’14, la Federazione Toscana del Consiglio, la più attiva nell’etero-
geneo fronte interno della mobilitazione civile, rendeva noto che non sperando più
nessuno di salvare l’Italia dagli orrori della guerra sentiva il dovere di organizzarsi e, in
caso di guerra, essere pronte ad offrire alle Autorità un’opera veramente utile.
Si costituiva quindi un Comitato in caso di guerra o anche solo di mobilitazione
generale, suddiviso in piccole commissioni (Uffici Pubblici, Beneficenza etc.), chia-
mato, “per la patria”, assorbito nel ’15 dal Comitato di Preparazione civile, che accoglieva
solo italiane allineandosi quindi con coloro che, come la Labriola, avevano richiesto
l’allontanamento dagli uffici di quelli che avevano mogli tedesche. I questionari distri-
buiti tendevano a far partecipare le donne in base alle loro attitudini. Ogni questio-
nario compilato, veniva poi numerato e inserito in un registro. La responsabile del
registro era anche incaricata di parlare con le donne, per verificare le loro attitudini e
dissuaderle nel caso di scelte inadatte. Si propagandava il principio del risparmio di
provviste alimentari, di materie prime e quanto era utile alla patria. La scarsità non era
dovuta - come si leggeva negli opuscoli di propaganda – all’entrata in guerra dell’Ita-
lia, in quanto, se l’Italia fosse rimasta neutrale non solo avrebbe sofferto tutti i disagi
attuali, ma assai di più. Chi si rifiutava di ridurre allo stretto necessario i consumi di
carbone, di legna, di cibi, di abiti diventava colpevole di reato di tradimento verso
la patria. L’esempio continuo di chi non si assoggettava alle limitazioni funzionava
come eccitatore continuo di malcontento, indeboliva la resistenza morale del paese,
perpetrava un vero e proprio “sabotaggio della guerra”. Quando, nel ’16, il Comitato
di Mobilitazione Industriale per l’Italia centrale con sede a Roma diramava un appello per
la sostituzione di manodopera maschile con quella femminile, per incrementare i ri-
sultati ottenuti evidentemente insoddisfacenti, la Federazione Toscana del CNDI e
Alleanza Femminile, aggregata al Consiglio, stabilirono di coadiuvare le raccomandazioni
della Circolare. Scelsero infatti, dall’elenco, inviato da Roma, delle fabbriche dove era
possibile la sostituzione, le industrie di cui ognuna delle socie poteva occuparsi, e si
recarono personalmente, a due a due, a fare sopralluoghi. S’informavano se vi fossero
donne occupate e, in caso negativo, cercavano di persuadere i proprietari e i direttori
a servirsi di manodopera femminile. Nel corso di riunioni settimanali, le visitatrici ri-
ferivano sulle ditte visitate con brevi informazioni su ciascuna e rimettevano tutto alla
presidente della Federazione, perché potesse farne un estratto da inviare al presidente
della Mobilitazione Industriale. La Federazione Emiliana del CNDI promosse invece
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