Page 71 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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urbana, gli orari della fabbrica, la rigida discipline, le lunghe assenze dalle famiglie e
soprattutto il rapporto con l’elemento maschile, il caporeparto, il responsabile del
personale, il militare di sorveglianza o anche i colleghi nell’officina . Proprio la “no-
vità” di queste compagne di lavoro, così diverse dall’operaio di mestiere, creò infatti
qualche frizione in fabbrica, perché non sempre le donne, considerate dai “vecchi”
operai non abbastanza abili, furono accettate senza problemi.
Le operaie delle fabbriche ausiliarie, in particolare dal 1916 e per tutta la durata
del conflitto, furono anche protagoniste di proteste e di agitazioni di una certa consi-
stenza: si tardava l’entrata in fabbrica, si chiedeva la pace e soprattutto si contestava la
dura disciplina sul luogo di lavoro. Per le donne era particolarmente gravoso il sistema
del cottimo e i pesantissimi turni (si lavorava 10 ore al giorno, con una pausa di un’ora,
ma a volte si raggiungevano le 12 ore!), ai quali si reagì spesso con prese di posizione
attiva. Gli scioperi e le proteste erano proibite, come è noto, nelle fabbriche ausiliarie
sottoposte ad una rigida disciplina e in pratica militarizzate, ma le donne, che certo
non rischiavano come gli uomini il ritiro dell’esonero o l’invio al fronte, ma comun-
que richiami e pesanti sanzioni pecuniarie, non si fermarono dal manifestare in molte
forme la loro opposizione alla guerra e alle pesanti condizioni di lavoro. Uno dei più
importanti risultati dell’esperienza femminile in fabbrica, del resto, fu che proprio il
vivere una esperienza comune con altre donne le aiutò a prendere coscienza dei pro-
pri diritti e quindi spinse molte di loro alla sindacalizzazione, un fenomeno che avrà il
suo sviluppo maggiore nel dopoguerra.
Un lavoro svolto da donne con un carattere particolare riguardò le forniture mi-
litari di panni, divise e accessori per i soldati; tradizionalmente questo lavoro veniva
svolto, su commissione dei militari, da operaie specializzate organizzate in Leghe;
durante la guerra a queste Leghe, formate da sarte che svolgevano professionalmente
il loro lavoro ed erano provviste di macchinari moderni, si affiancarono Laboratori
privati, spesso improvvisati, organizzati su base solidaristica per fornire una retribu-
zione e un sostegno alle mogli dei richiamati.
Sempre su commissione del Ministero della Guerra, quindi, nei Laboratori privati si
lavorava in tutto il paese per le forniture militari con un impegno di migliaia di donne.
Questa attività aveva chiaramente anche uno scopo assistenziale perché alle donne dei
richiamati si elargiva un salario, poco più che simbolico, ma spesso si forniva anche un
pasto e si assicurava la sorveglianza dei minori. Le dimensioni del fenomeno, regolato
ufficialmente in tutto il paese sin dal 1915, erano abbastanza consistenti. A Roma, ad
esempio, nel 1916 erano ben 10000 le familiari dei combattenti impegnate nei Labora-
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