Page 384 - Il 1916 Evoluzione geopolitica, tattica e tecnica di un conflitto sempre più esteso - Atti 6-7 dicembre 2016
P. 384
384 il 1916. EvoluzionE gEopolitica, tattica E tEcnica di un conflitto sEmprE più EstEso
accordo, per il quale l’Austria avrebbe fatto fronte con quasi tutte le forze contro
la Prussia, opponendo poco più di una resistenza simbolica in Italia.
La condotta della guerra fu in linea con queste premesse amletiche. Indeciso
su chi nominare a capo dell’Esercito, Vittorio Emanuele scartò dapprima Ga-
ribaldi per ragioni politiche, poi il proprio aiutante di campo Della Rocca per
carenza di prestigio, infine Cialdini per il rifiuto di questi e infine dette l’incarico
al capo del Governo La Marmora, che era anche Ministro degli Esteri, e che più
di tutti era stato oggetto delle pressioni di Napoleone per un accordo in extremis
con l’Austria che scongiurasse la guerra.
Fu subito evidente che il nuovo Capo di Stato Maggiore non aveva un dise-
gno strategico preciso e quindi non poteva imporlo ai suoi subordinati, soprat-
tutto al riottoso Cialdini. La Marmora voleva infatti riprendere la guerra lì dove
nel 1859 era stata interrotta, sul Mincio fra Peschiera e Mantova, ed avanzare
in direzione di Verona, mentre Cialdini propugnava una offensiva dal Po con
direttrice Padova. Al termine di litigiosi conciliaboli si decise infine per un com-
promesso: eseguire entrambi i piani, affidando a La Marmora 3/5 delle forze per
l’attacco sul Mincio e gli altri 2/5 a Cialdini per eseguire sul Po il proprio piano,
parallelo e, si sperava, convergente con quello del collega.
Nel corso della successiva avanzata La Marmora divise ulteriormente le sue
truppe mettendone un terzo ad assediare Mantova e fu dunque solo con nove
divisioni che si presentò sul campo di Custoza il 24 giugno 1866, dove, per
altro, ne distaccò altre tre in un settore morto del fronte immobilizzandole fuori
dalla battaglia. Dopo una giornata di scontri confusi, gli austriaci respinsero gli
italiani.
Più grave della battaglia in sé fu il periodo che ne seguì, durante il quale le
contraddizioni e le polemiche fra i generali paralizzarono per giorni preziosi la
reazione italiana. Solo nelle ultimissime settimane di guerra Cialdini, accettato
infine l’incarico di comandante in capo, condusse una incruenta avanzata fino al
Friuli. Fu proprio il corpo d’armata del generale Raffaele Cadorna a giungere fin
sull’Isonzo, quasi in vista di Trieste, per esservi fermato dall’annuncio dell’ar-
mistizio, conseguenza della vittoria prussiana a Sadowa del 9 luglio. A nulla ser-
virono le sollecitazioni del generale a proseguire la lotta da soli, la terza guerra
risorgimentale si arrestò, incompiuta, nell’estate del 1866.
La delusione nel Paese fu grande, e la popolarità dell’Esercito ne fu scossa
irrimediabilmente.
Il Veneto, acquisito alla fine della guerra, fu un bottino consistente, ma pagato
molto caro sul piano della credibilità e dell’autostima nazionale. Scesa in guerra
con grandi speranze di vittoria, l’Italia vi guadagnò un senso di frustrazione e di
incompiutezza che, come un fiume carsico, tornerà ad affiorare in tutte le crisi
del Paese, che furono piuttosto numerose.
Quali insegnamenti trasse dagli eventi del 1866 Luigi Cadorna, che certo poté

