Page 481 - Il 1916 Evoluzione geopolitica, tattica e tecnica di un conflitto sempre più esteso - Atti 6-7 dicembre 2016
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per rilanciarne l’azione verso ed oltre il primo obiettivo assegnato, o per
respingere eventuali contrattacchi. Nonostante l’insistenza sull’azione ad ondate,
è interessante il fatto che nella circolare compare in embrione l’idea alla base
del metodo dell’attacco per infiltrazione messo in seguito a punto dall’esercito
tedesco: “In ogni modo occorre incunearsi decisamente nei tratti sfondati ed
accerchiare i centri di resistenza. I riparti che così riescano ad avanzarsi, non si
devono preoccupare se quelli vicini siano rimasti più indietro. L’avanzata propria
favorirà anche la loro.” Il concorso dell’artiglieria non deve avere interruzioni né
svilupparsi con bruschi sbalzi di gittata, ma articolarsi in successivi allungamenti
del tiro, effettuati con gradualità per precedere la fanteria sull’obiettivo e non dare
all’avversario alcuna indicazione sul momento dell’assalto. Accanto all’azione
demolitrice, diretta a spazzare il terreno davanti ai fanti ed integrata dall’intervento
di qualche batteria da montagna o someggiata appostata sulle prime linee per agire
alle brevissime distanze, l’appoggio dell’artiglieria include il tiro di controbatteria
e quello di interdizione, diretto a creare alle spalle delle posizioni attaccate una
cortina di fuoco per impedire l’accorrere dei rincalzi. Affinché la cooperazione
tra le due armi sia efficace, le batterie di piccolo calibro sistemate in posizione
avanzata devono essere alle dipendenze tattiche dei comandanti dei reparti di
fanteria ed in trincea devono essere presenti ufficiali osservatori costantemente in
collegamento con le batterie da campagna e con quelle di medio e grosso calibro.
Tutto questo disegna uno strumento la cui efficacia è significativamente superiore
al 1915, come emerge anche dalle testimonianze degli avversari di allora, fra gli
altri il generale Anton Ritter von Pitreich che, nel commentare le vicende della
Sesta Battaglia dell’Isonzo di cui era stato testimone, si espresse in questi termini:
“ … e così ci trovammo di fronte addirittura ad un esercito nuovo, avente energia
e coscienza dello scopo, nonché esperienza completa di guerra e buona scienza
tattica in modo superiore al 1915. E l’attacco si svolse in modo impeccabile.”
L’ampliamento degli organici fu possibile solo attingendo in larga misura alle
classi anteriori al 1896 con il ricorso generalizzato al meccanismo dei richiami,
e se si considera l’efficienza di cui quell’esercito diede prova, non si può non
domandarsi che cosa spingesse quegli uomini a combattere, aggiungendo subito,
dopo un istante di riflessione, che non si può ricondurre il tutto all’ignoranza e
alla paura. Sarebbe fare un torto a loro ed anche all’intelligenza di chi legge.
Quei soldati non furono eroi omerici né cavalieri senza macchia e senza paura,
e di certo molti sentivano solo confusamente le ragioni della guerra e avevano
a malapena sentito parlare di Trento e di Trieste, dell’“Adriatico amarissimo”,
dei pegni coloniali e dell’imperialismo tedesco ma, per quanto confusamente,
avevano coscienza di un dovere da compiere e furono loro ad uscire vincitori
dall’aspra contesa con un esercito che vantava una storia di lunga data. Per
capirli è il caso di affidarci a chi di quelle vicende è stato protagonista e chiamare
in causa, fra le tante, la testimonianza tanto sintetica quanto significativa, di

