Page 482 - Il 1916 Evoluzione geopolitica, tattica e tecnica di un conflitto sempre più esteso - Atti 6-7 dicembre 2016
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482           il 1916. EvoluzionE gEopolitica, tattica E tEcnica di un conflitto sEmprE più EstEso


             Adolfo Omodeo, all’epoca un giovane subalterno, che in Momenti della vita di
             guerra, pubblicato nel 1934, nel dar voce al fante contadino combattenti così
             ne descriveva lo stato d’animo: “La guerra era un male, un castigo dei peccati,
             che solo la Vergine poteva deprecare. Ma, una volta scatenatosi il flagello, lo
             accettava e lo sopportava virilmente, come il buon agricoltore regge alla tempesta
             e al solleone.  Poi un maschio senso di bravura, devozione al suo ufficiale, stizza
             e dispetto per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni caduti, formavano
             la sua nuova anima guerriera”.
                Tenacia  e  senso  del  dovere  non  potevano  però  essere  sufficienti  senza  un
             inquadramento  adeguato  e,  dopo  aver  giustamente  ricordato  la  moltitudine  di
             ufficiali di complemento che, per citare ancora Omodeo, diedero a quell’esercito
             un’anima    sopperendo  con  l’entusiasmo  ad  una  preparazione  sempre  troppo
             affrettata, è doveroso ricordare anche quanti rivestirono posizioni di responsabilità
             e di comando. E’ loro il merito di aver saputo organizzare e tenere in campo un
             esercito di massa, con gli enormi problemi associati, ed è giusto riconoscerlo,
             ad  onta  di  quanto  sembra  suggerire  una  lettura  dei  fatti  che,  quando  non  è
             condizionata dall’ideologia, non sempre tiene conto della prospettiva storica. Un
             nome si imporrebbe su tutti, quello di Luigi Cadorna, e tanti potrebbero a buon
             titolo essergli affiancati, ma forse l’esempio più bello con cui chiudere queste
             note  è  quello  di Antonio  Chinotto.  Nato  ad Arona  nel  1858  da  una  famiglia
             permeata da sentimenti di italianità ed appartenente alla generazione cresciuta
             nel clima del Risorgimento, era entrato a diciotto anni nell’Accademia Militare
             di Torino da cui era uscito come sottotenente del genio. Colto, con una solida
             preparazione in ingegneria, aveva superato facilmente gli esami di ammissione
             alla Scuola di Guerra e si era fatto poi apprezzare come uno degli elementi più
             brillanti dello Stato Maggiore. Promosso maggior generale nel 1911, nel febbraio
             del 1915 aveva avuto il comando della Brigata Piacenza, una di quelle costituite
             con la mobilitazione, che guidò in combattimento nel settore del San Michele
             e  davanti  alla  sella  di  San  Martino  meritandosi  una  medaglia  d’argento  e  la
             promozione a tenente generale. Costretto da una grave malattia a lasciare il fronte
             nel marzo del 1916, vi tornò due mesi dopo per assumere il comando della 14
                                                                                   a
             Divisione di cui, nella Sesta battaglia dell’Isonzo, diresse l’azione contro le alture
             di Monfalcone facendosi portare in linea su una poltrona per il riacutizzarsi del
             male. L’11 agosto dovette rassegnarsi a lasciare il suo posto per essere ricoverato
             all’ospedale di Udine, ma aveva chiesto troppo al suo fisico e si spense il 25
             agosto. La motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessagli alla
             memoria dal re il 1° gennaio 1917 lo consacra come “mirabile esempio a tutti
             del più alto spirito di sacrificio e delle più belle virtù militari”, e se a questo si
             aggiunge l’indubbia professionalità di cui aveva sempre dato prova, quello del
             generale Antonio Chinotto è certamente un esempio su cui meditare. Oggi come
             e forse più di ieri.
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