Page 480 - Il 1917 l'anno della svolta - Atti 25-26 ottobre 2017
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480 il 1917. l’anno della svolta
conclusione.
Gli ultimi anni di vita di Alberto Cavaciocchi furono dedicati alla raccolta di
informazioni e di memorie riguardanti le giornate della rotta.
Alla fine del 1921, non contento della posizione ausiliaria concessagli, il ge-
nerale torinese fece prima ricorso alla IV^ sezione del consiglio di Stato, che re-
spinse l’azione per decorrenza dei termini, e poi una petizione alla Camera dei
Deputati nel 1922, ma che non trovò alcun appoggio per essere presentata e di-
scussa. Ben altri erano i problemi nel paese perché qualcuno potesse ancora pre-
stare voce alle vicende di Caporetto; gli scontri tra fascisti e socialisti dilagava-
no, la società italiana era in uno stato estremamente fluido, mentre lo stesso siste-
ma politico soffriva sempre più di “parlamentarismo”. L’avvento del fascismo,
con la sua coreografia eroica, non poteva certo ammettere critiche e rivelazioni
che potessero scalfire “eroi nazionali” e riaprire vecchie ferite.
Di fronte al costante muro di gomma governativo, Cavaciocchi non poté fa-
re altro che lasciare nei suoi scritti le proprie accuse e le proprie testimonianze.
Egli, abile scrittore militare, lasciò così ai posteri ben tre volumi non conclusi
che riguardavano la condotta italiana durante la Grande Guerra. Nessuno di que-
sti tre libri fu mai pubblicato perché il regime fascista si oppose alla loro divul-
gazione . Di Caporetto non si poteva più parlare e tanto meno delle responsa-
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bilità di Badoglio.
Il 5 maggio 1925 Cavaciocchi moriva a Torino per un colpo apoplettico; il
giorno prima Badoglio era stato nominato Capo di Stato Maggiore Generale dal
Governo fascista.
160 “Morendo, Cavaciocchi, lasciò uno studio su Caporetto pronto per le stampe in cui esaminava
la parte relativa al IV corpo d’armata che egli comandava in valle Isonzo nell’ottobre 1917. La
moglie ne affrettava la pubblicazione per scagionare il marito davanti alla storia. Due anni fa
[1925] il generale Segato, venuto a conoscenza che il governo ne aveva proibito la pubblica-
zione, né parlò […] con Cavallero […] Cavallero cercò di tergiversare, ma, di fronte alle recise
affermazioni dell’ottimo generale Segato, lo invitò ad andare a Roma dove ne avrebbe parlato
con Mussolini. Così si fece. Mussolini, che conosceva tutta la faccenda, ammise le buone ra-
gioni di Segato, ma, per opportunità politica pregò di non pubblicare il libro. In compenso la
vedova avrebbe avuto, se non erro, diecimila lire. Ci volle del bello e del buono, e finalmente
le ebbe”, in E. Caviglia, Diario (aprile 1925-marzo 1945), Roma, 1952, p. 27. A tale riguardo
si veda anche: B. Spampanato, Contromemoriale, Roma, 1974, vol. I, p. 224.