Page 521 - Il 1917 l'anno della svolta - Atti 25-26 ottobre 2017
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             diversa articolazione delle forze, scaglionate ora in profondità con l’alleggeri-
             mento dell’occupazione delle prime linee, e si fondavano sul tiro di sbarramen-
             to dell’artiglieria e sulla prontezza dei contrattacchi, ma non era ancora in grado
             di proporre una soluzione.
                In modo non diverso da quanto gli alleati stavano scoprendo in Francia, il Re-
             gio Esercito si trovava a confrontarsi con una impostazione elastica della difesa
             che sovvertiva i concetti tradizionali, nella quale non aveva più significato difen-
             dere a oltranza strutture lineari e il ruolo fondamentale veniva svolto da una re-
             te di capisaldi e centri di fuoco. La preoccupazione suscitata da questa scoperta
             era aggravata dalla constatazione dell’enorme dispendio di munizioni richiesto
             dal tiro di distruzione e dalla conseguente necessità di trarre il massimo profit-
             to dall’impiego delle scorte che tanto faticosamente si erano ammassate. Que-
             sto però non era possibile se il complesso delle difese da superare si sviluppava
             nel senso della profondità in misura tale da rendere impossibile batterne con ef-
             ficacia i diversi elementi. Al termine di un ciclo operativo che aveva confermato
             quelle impressioni, Cadorna con la circolare del 30 maggio ritornava sull’argo-
             mento per additare possibili correttivi, raccomandando di limitarsi alla distruzio-
             ne degli organi vitali e dei reticolati, di contenere la durata della preparazione,
             anche al fine di risparmiare i medi e grossi calibri per stroncare gli immancabili
             contrattacchi, e dare il massimo impulso all’attività di controbatteria, sostituen-
             do al concetto di distruzione quello di neutralizzazione.
                La direttiva disegna un quadro in cui fanteria ed artiglieria agiscono in mo-
             do coordinato, con i cannoni chiamati a proteggere i fanti non sulla base di uno
             schema prestabilito ma delle esigenze del momento. Sul Carso, e nel teatro ita-
             liano in genere, non era del resto possibile realizzare lo stesso schematismo e la
             stessa progressione automatica delle cortine di fuoco permessi dalle ampie pia-
             nure e dalle dolci colline di Francia. Data la natura del terreno, brullo e acciden-
             tato, lo sbarramento d’artiglieria non poteva muoversi con la regolarità teorizza-
             ta dai comandi britannici e francesi e lo spostamento in avanti doveva avvenire
             più a comando che a tempo. Da ciò la preferenza per i concentramenti di fuoco
             da effettuare là dove l’azione lo richiedeva, rispondendo in questo modo anche
             alla perdurante esigenza di limitare il consumo di munizioni. Era un’impostazio-
             ne corretta che sviluppava l’idea della manovra del fuoco in termini più flessibili
             e moderni, ma che nell’attuazione trovava un grosso limite nelle possibilità dei
             mezzi di collegamento. Telefoni da campo ed eliografi potevano rispondere alle
             esigenze di una situazione statica, ma non seguire la dinamica del combattimen-
             to, e i sistemi di segnalazione basati su codici più o meno complessi, quali ban-
             diere a lampo di colore, lampade, razzi, dischi colorati, potevano al più rilanciare
             semplici messaggi, mentre l’impiego delle staffette portaordini allungava enor-
             memente i tempi di trasmissione. Al problema si cercò di dare soluzione anche
             con l’impiego del mezzo aereo, affidando ai velivoli da osservazione il compi-
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