Page 522 - Il 1917 l'anno della svolta - Atti 25-26 ottobre 2017
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             to di riconoscere la linea di combattimento, nonché di raccogliere e rilanciare le
             segnalazioni codificate dei reparti in azione, ma anche questo sistema soffriva di
             forti limiti: non sempre i segnali potevano essere esposti e spesso non erano vi-
             sti, il tempo richiesto per rilanciarli da bordo, via radiotelegrafo, alle stazioni di
             ascolto a terra, e da qui via telefono ai comandi ed alle batterie, toglieva imme-
             diatezza alla comunicazione, e il tutto presupponeva che il meccanismo funzio-
                               10
             nasse senza intoppi.
                In giugno il contrattacco austro-ungarico di Flondar, che all’inizio del mese
                                       a
             allontanò la pressione della 3 Armata dall’Hermada, annullando buona parte dei
             guadagni territoriali ottenuti in quel settore con la Decima Battaglia dell’Isonzo,
             e subito dopo il fallimento dell’operazione intesa a migliorare l’andamento del
             fronte sull’Altopiano d’Asiago, passata alla storia come Battaglia dell’Ortigara,
             fornirono ulteriori elementi di riflessione, con la dimostrazione di nuovi meto-
             di d’attacco dell’avversario fondati su una breve ma violentissima preparazione
             d’artiglieria e sull’azione rapida e irruente di agili colonne largamente dotate di
             armi automatiche e bombe a mano. Erano le premesse di un’ulteriore, profonda
             trasformazione della fanteria e di un processo di adeguamento alle condizioni del
             campo di battaglia che avrebbe visto emergere una nuova figura di combatten-
             te in grado di impiegare al meglio una vasta gamma di armi e operare in piccoli
             gruppi in un contesto caratterizzato da un crescente livello di autonomia. Nell’at-
             tacco il fante era ora chiamato a infiltrarsi nella sistemazione difensiva avversa-
             ria sfruttando le opportunità del momento e aprendosi la via con le proprie armi,
             piuttosto che a investirla di forza, mentre nella difesa doveva agire come pedina
             di una reazione dinamica imperniata su una rete di capisaldi destinata ad assorbi-
             re l’urto ed a neutralizzarlo con ripetuti contrattacchi sferrati quando l’attaccante
             aveva perso il suo slancio e si trovava pericolosamente sbilanciato. Una tale im-
             postazione, che prefigurava modalità di combattimento che si sarebbero conso-
             lidate nel corso degli anni mantenendo la loro validità anche ai giorni nostri, si
             era già delineata sul fronte occidentale dove il primo a intuirne la validità era sta-
             to un ufficiale francese, il capitano André Laffargue. Dopo aver visto il sangui-
             noso fallimento di un attacco del suo reparto alle posizioni tedesche sul crinale
             di Vimy il 9 maggio 1915, Laffargue si era convinto che meglio avrebbe fatto a
             spingere in avanti i suoi uomini in piccoli gruppi, con l’appoggio diretto di qual-
             che mortaio da trincea, anziché replicare lo schema dell’attacco a ondate prece-
             duto dal tiro di preparazione dell’artiglieria, soprattutto perché l’azione di questa
             non aveva la flessibilità necessaria a sostenere l’azione della fanteria. Era così ar-
             rivato a maturare l’idea che la fanteria dovesse aprirsi la via con i propri mezzi,
             un’intuizione da cui derivarono sia la crescente importanza della bomba a mano,


             10  Di Martino B., Ali sulle trincee. Ricognizione tattica ed osservazione aerea nell’aviazione
                italiana durante la Grande Guerra, Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica, Roma, 1999.
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