Page 329 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
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                Tutto ciò influiva negativamente sulla già complessa gestione delle diverse
             lingue all’interno dell’esercito. All’inizio della guerra, almeno in linea teorica,
             era previsto che i comandanti dovessero essere in grado di parlare la lingua dei
             propri sottoposti. Tale competenza andò progressivamente perdendosi con il pro-
             seguo del conflitto, quando al nocciolo degli ufficiali di carriera meglio preparati
             militarmente e linguisticamente andò sostituendosi un numero crescente di uffi-
             ciali di riserva, assai peggio formati in entrambi gli ambiti . Non erano proble-
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             mi sconosciuti ai comandi militari, come dimostra un rapporto sulle diserzioni
             in Tirolo redatto nel settembre 1917 dal generale Conrad von Hötzendorf, che
             osservava un inevitabile peggioramento del morale, con sicure ricadute sulla fre-
             quenza delle diserzioni, in quei soldati collocati in squadre in cui si parlava una
             lingua a loro straniera e magari posti anche sotto il comando di un ufficiale che
             non conosceva la loro lingua . Ciononostante, lo stesso Conrad e più in generale
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             i vertici militari, continuarono ossessivamente ad attribuire l’aumento delle di-
             serzioni allo scarso patriottismo di determinate nazionalità dell’Impero (in primo
             luogo i cechi, ma anche gli italiani), senza considerare il peso di altri elementi,
             tra cui appunto la condizione individuale all’interno del corpo di appartenenza,
             oltre ovviamente alla rapida e crescente disillusione provocata dalla traumatica
             esperienza del fronte .
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                In riferimento alla delicata questione delle diserzioni, ma anche più in gene-
             rale del comportamento in battaglia dei diversi gruppi nazionali, vale la pena os-
             servare come le relazioni e i rapporti delle stesse autorità militari fossero tutt’al-
             tro che unanimi nel sottolineare le manchevolezze degli italiani. Non mancano
             infatti giudizi positivi nei loro confronti e vere e proprie smentite della vulgata
             ufficiale che il più delle volte ne faceva degli esempi di inaffidabilità. Nel giugno
             del 1915, ad esempio, la sezione censura della corrispondenza postale dei prigio-
             nieri di guerra austro-ungarici predispose un rapporto dettagliato sui sentimenti
             dei prigionieri distinti per nazionalità. Sulla base dello spoglio di ben 7 milioni di
             lettere venne tracciato un profilo dei dodici gruppi etno-linguistici appartenenti
             al grande Impero multinazionale, muovendo dal convincimento che le specifiche
             condizioni della prigionia facessero cadere nel soldato ogni forma di inibizione e



             46  DEÁK ISTVÁN, Gli ufficiali della monarchia asburgica. oltre il nazionalismo, Libreria Edi-
                 trice Goriziana, Gorizia, 2003, pp. 301-304. Sui limiti linguistici degli ufficiali anche all’i-
                 nizio della guerra cfr. SCHMITz MaRTIN, “als ob die Welt aus den Fugen ginge”. Kriegs-
                 erfahrungen österreichisch-ungarischer offiziere 1914-18, Schöningh, paderborn, 2016, pp.
                 25-39.
             47  Cit. in ÜBEREGGER, L’altra guerra, cit., p. 301.
             48  Sul pregiudizio anti ceco come caso esemplare dell’atteggiamento delle istituzioni militari
                 verso determinati gruppi nazionali cfr. LEIN RICHaRD, pflichterfüllung oder Hochverrat?
                 Die tschechischen Soldaten Österreich-Ungarns im Ersten Weltkrieg, LIT Verlag, Berlin et
                 al., 2011.
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