Page 349 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
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V SeSSione - ProSPettiVe del 1918. Alcune StrAtegie Politico diPlomAtiche 349
Sul piano politico, il progetto wilsoniano pagava inoltre lo scotto di un
sostegno istituzionale alquanto tiepido. Oltre ai sentimenti neutralisti, che trova-
vano riflesso nella posizione di numerosi congressmen, la visione del Presidente
di un diverso ordine internazionale cozzava contro la radicata diffidenza della
cultura politica statunitense per qualsiasi forma d’impegno permanente e di al-
leanza vincolante. In questo, i dettami del Farwell address (1796) e del discorso
d’insediamento di Jefferson (1801), continuavano a esercitare il loro effetto sulle
scelte del Congresso, imponendo una linea di condotta che solo la risoluzio-
ne Vandenberg (1948) avrebbe permesso di modificare. Le quattrodici riserve
avanzate da Henry Cabot Lodge (leader del blocco repubblicano in Senato) al
testo del trattato di Versailles nel corso del processo di ratifica di quest’ultimo
esprimono bene tale atteggiamento. Gli esiti del voto di midterm del 5 novembre
1918 avevano accentuato la debolezza dell’amministrazione, riportando nelle
mani del Grand Old Party entrambe le Camere per la prima volta dopo il 1908. Il
voto segna, inoltre, una svolta nella problematica coabitazione fra il Presidente
e il Partito repubblicano, rafforzando la posizione di quest’ultimo a scapito dalla
Casa Bianca, che vede il suo favore diminuire anche fra l’elettorato democratico.
Le fratture dentro l’amministrazione (come quella fra il Presidente e il Segreta-
rio di Stato Robert Lansing o quella, successiva, fra lo stesso Presidente e il suo
principale consigliere, il “colonnello” Edward House, destinata a emergere in
modo eclatante proprio nelle settimane della conferenza della pace) sarebbero
state un altro importante fattore di debolezza.
Sono questi elementi che giustificano l’adozione, nei mesi della belligeranza,
di quella che è stata definita la “dottrina del posporre” (doctrine of postpone-
ment); del rinviare, cioè, alla fine della guerra la discussione di tutte le questioni
potenzialmente divisive, prime fra tutte quelle legate ad aspetti territoriali. Se
questa scelta contribuisce a mantenere una soddisfacente unità d’azione di fronte
al nemico, sul medio/lungo periodo porta all’incancrenirsi dei problemi e al per-
durare di malintesi che avrebbero contribuito non poco agli esiti insoddisfacenti
della conferenza della pace. La centralità di Wilson nel processo decisionale e
il carattere idiosincratico di molte sue scelte aggravano questo stato di cose: le
già citate tensioni con Lansing si traducono, di fatto, in uno scavalcamento del
Dipartimento di Stato e nell’emergere – accanto alla diplomazia “formale” di
quest’ultimo – di una diplomazia parallela, centrata sulla figura del Presiden-
te e sulla cerchia dei suoi più stretti collaboratori. Perno di questo inner circle
è – fino alla crisi del 1919 – Edward House, che sin dagli anni della neutralità
tiene concretamente i rapporti con le Potenze europee . Accanto a House, un
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12 Il ruolo di House nella diplomazia di guerra statunitense è ampiamente studiato. Fra le molte
monografie disponibili cfr. quelle di I. Floto, Colonel House in paris: a Study of american
policy at the paris peace Conference 1919, princeton, NJ, 1980 (sul suo ruolo alla conferenza