Page 243 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria di Torino
Il ritmo incalzante e l’elevatissimo livello di stress a cui il Nucleo Speciale era sottopo-
sto indusse il Gen. dalla Chiesa a procedere a un avvicendamento di alcuni elementi
del gruppo, soprattutto quelli con famiglia, che rientrarono ai rispettivi Reparti, tra
i quali due pedine fondamentali come il Comandante del Nucleo Speciale, il Ten.
Col. Giuseppe Franciosa (fu sostituito dal pari grado Lucio Regalbuto, proveniente
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26 Quando io e mia sorella ripensiamo a quel periodo buio degli anni di piombo e alla richiesta
che arrivò improvvisamente all’inizio di quel periodo – nel 1974 – dal Generale Dalla Chiesa
a nostro padre affinché organizzasse e coordinasse a Torino il primo nucleo antiterrorismo per
la lotta alle Brigate Rosse, due sentimenti ci invadono, oggi come allora: la paura e l’orgoglio.
Come in tutti gli eventi che modificano il corso della vita, c’è un prologo. Eravamo a Genova in
quegli anni, e papà era il comandante del nucleo di Polizia Giudiziaria presso il Tribunale di quella
città: come tale, frequentava molti magistrati ed aveva con loro ottimi rapporti che si estendevano 239
poi alle famiglie, fuori dall’ambito lavorativo. Ricordiamo che spesso trascorrevamo, con alcuni di
loro e con le loro famiglie domeniche spensierate in campagna oppure al mare, allo stabilimento
Marina Grande di Genova. Da qualche tempo, erano aumentati gli atti sovversivi e gli episodi
di violenza a firma delle BR (la tristemente famosa stella a cinque punte) che miravano a gettare
l’Italia sempre più nel baratro del terrore: fu probabilmente proprio il rapimento di uno di quei
giudici che frequentavamo, il Giudice Mario Sossi, l’elemento decisivo che determinò l’inizio della
lotta vera contro i brigatisti. Ricordiamo che con nostra madre andammo a trovare la moglie
del giudice, Maria Grazia, e le figlie per esprimere loro la nostra vicinanza, pur trovando con
difficoltà le parole, mentre probabilmente nostro padre era già diretto a Torino.
È infatti in questo quadro storico che il Generale Dalla Chiesa interpellò papà, uomo grande,
forte, militare dal cuore generoso – anche, diranno in qualche articolo di giornale dell’epoca che
orgogliosamente conserviamo, straordinariamente somigliante all’attore Sean Connery che in
quegli anni interpretava il migliore 007 della saga – senza dubbio perché aveva avuto modo di
conoscerne le elevate doti ed il valore.
Per la verità, almeno davanti a noi ragazzine di 11 e 12 anni, in casa non si parlò poi tanto di
questa proposta venuta da un generale che godeva di estremo rispetto nell’Arma dei Carabinieri,
né della decisione che di lì a pochissimo nostro padre avrebbe preso di entrare nel nucleo, forse
perché dovevamo rimanere quanto più a lungo inconsapevoli del rischio che lui avrebbe affrontato
in quell’attività pericolosissima. Nostra madre, donna molto intelligente e forte, invece ne era a
conoscenza e, come abbiamo saputo in seguito, pur trepidando, lo consigliò di accettare poiché
intuiva che per nostro padre era un dovere imprescindibile fare la sua parte in un momento storico
dell’Italia che richiedeva un atto di estremo coraggio.
Poi papà un giorno partì, andò a Torino insieme ad un pugno di altri valorosi Carabinieri, animato
dalla consueta energia che gli abbiamo sempre conosciuta, alimentata ulteriormente dall’alta
finalità della missione. La vita per noi proseguì in una strana tranquillità, con mamma sempre
sola, però; ma quanto erano belle quelle serate in cui improvvisamente arrivava papà, parlava
fitto fitto con mamma, e noi lo abbracciavamo contente, senza capire perché l’indomani mattina
non ci fosse già più! Ce lo nascondevamo a vicenda, ma un sentimento velato di angoscia era
sempre un po’ presente a casa, e persino il momento dei telegiornali serali era diventato sacro; il
rapimento di Sossi aveva infatti reso chiaro anche a noi figlie che il pericolo era reale, terribile, e
che davvero chissà se e quando anche noi avremmo rivisto il nostro papà.
Il quale, fra le altre doti, aveva una rara capacità: quella di stringere rapporti umani con i suoi
uomini, aldilà del grado che rivestiva. È il caso, per esempio, del Maresciallo Felice Maritano che
era stato alle sue dipendenze pochi anni prima, ai tempi in cui era capitano della Compagnia
di Genova Sampierdarena: quel maresciallo eroico era così legato a papà che non esitò, proprio
per la stima e l’affetto che nutriva per lui, a seguirlo volontariamente al nucleo antiterrorismo.
Raramente abbiamo visto nostro padre piangere, ma ricordiamo che lo fece quando il valoroso
Maresciallo Maritano perse la vita in un’azione di contrasto alle Brigate Rosse (15 ottobre 1974).
Risale all’epoca precedente in cui papà comandava la Compagnia di Sampierdarena anche il suo
incontro con un’altra vittima delle BR, il Giudice Francesco Coco, cui nostro padre fu legato da
un deferente rapporto di amicizia, lui giovane ufficiale dei Carabinieri con moglie e figlie pic-
cole e quel distinto signore con la moglie che ci trattavano quasi come fossimo due nipotine. In
seguito, tra gli efferati delitti di cui si macchiarono le BR, vi fu purtroppo anche quello nel 1976
del Giudice Coco che era nel frattempo diventato capo della procura di Genova. Papà spesso, a
causa del clima di terrore che si viveva in quegli anni, si offriva di accompagnare il magistrato
sulla strada del suo ritorno a casa: fu proprio in quel percorso che i brigatisti scelsero di colpire