Page 245 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria di Torino
città del Nord Italia, ove l’organizzazione aveva raggiunto un potenziale operativo e
logistico davvero impressionante.
Il 18 febbraio 1975, il capo storico delle Brigate Rosse, Renato Curcio, riuscì a evadere
dal carcere di Casale Monferrato (AL) ove era stato rinchiuso dopo l’arresto, avvenuto
l’8 settembre 1974 nei pressi di Pinerolo. L’incredibile episodio mise in evidenza il
carente livello di sicurezza della struttura carceraria dell’epoca e la minore prepara-
zione professionale del Personale di sorveglianza dei detenuti, soprattutto nei confronti
di quelli «politici», particolarmente attenti alle vulnerabilità del sistema detentivo.
L’evasione fu organizzata e condotta dalla moglie di Curcio, Margherita Cagol, detta
«Mara», a capo di un commando composto da altre quattro unità, armate di pistole
mitragliatrici, che giunse nei pressi del carcere di Casale Monferrato poco dopo le
16, a bordo di una Fiat 124 gialla e di una 128 blu. Ne discendono un uomo e una
ragazza. La donna suona il campanello del portone di accesso alla struttura carceraria 241
e, sorridendo alla guardia attraverso lo spioncino, gli riferisce di dover consegnare un
pacco a un detenuto. L’agente penitenziario, probabilmente ingannato dall’apparente
inoffensività della donna e dal fatto che quello era un normale giorno di visite dei
parenti ai detenuti, richiuse lo spioncino e aprì il portone, venendo immediatamente
minacciato con il mitra dal complice della ragazza, alle cui spalle si unirono gli altri
membri del commando, in tuta blu da operaio, che irruppero all’interno del peniten-
ziario e tranciarono i cavi telefonici per evitare che qualcuno potesse dare l’allarme
alle Forze di Polizia. Sempre sotto minaccia, Mara Cagol costrinse l’agente che aveva
aperto il portone di ingresso a chiamare il Sottufficiale responsabile di turno verso il
Corpo di guardia il quale, ignaro, sopraggiunse senza sospettare alcunché. In quel
frangente, un detenuto arrivò di corsa sul piano ove era detenuto Renato Curcio
gridando che di sotto c’erano degli uomini armati, mentre le celle erano ancora
aperte per l’effettuazione della conta. Approfittando della favorevole situazione, il
capo delle BR corse giù sino a un cancello sbarrato, al di là del quale vi erano Mara
e i membri del commando, uno dei quali gli consegnò una pistola, mentre la donna
obbligò uno degli agenti ad aprire il cancello che la separava dal marito. Superato il
varco, i brigatisti richiusero il Maresciallo e le altre guardie nell’ufficio della Matricola
e raggiunsero il piazzale antistante l’istituto di pena ove, saliti a bordo dei mezzi in
attesa, fuggirono verosimilmente in direzione di Cascina Spiotta ove la stessa Mara
Cagol alcuni mesi dopo perderà la vita, non prima di aver causato la morte dell’App.
Giovanni D’Alfonso e il grave ferimento del Ten. Umberto Rocca, in occasione della
liberazione del sequestrato Vittorio Vallarino Gancia.
Furono sufficienti 5-6 minuti per mandare in fumo il lavoro investigativo condotto da
mesi dal Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria dell’Arma e rinnovare la sensazione di
superiorità operativa delle Brigate Rosse che, peraltro, avevano avuto la sfrontatezza
di preavvisare Renato Curcio, il giorno prima del loro blitz, con un telegramma dal
testo: «Il pacco sta arrivando».
Il giorno seguente, il «Corriere della Sera» parlò di «umiliazione dello Stato». Il Pub-
blico Ministero, intervenuto al carcere di Casale Monferrato commentò: «Un pollaio
sarebbe stato più sicuro». Anche il Gen. dalla Chiesa, indignato per la clamorosa
quanto semplice evasione di Curcio, cercò di sapere perché il detenuto fosse stato
trasferito lì da un carcere molto più sicuro come quello di Novara. Apprenderà che
era bastato che i giornali citassero un preparativo di evasione, per trasferirlo a Ca-
sale Monferrato. È sicuramente un grande successo per la propaganda delle Brigate
Rosse. Quattro settimanali dedicano la copertina a Renato Curcio. Lo Stato sembra
in ginocchio, la fama militare delle BR è ulteriormente amplificata. Per l’organizza-
zione terroristica, lo slogan «liberare i prigionieri», che tanto aveva contrapposto le
diverse anime del gruppo, si trasformò in nuovo fronte, quello delle carceri. I brigatisti
diramarono direttive molto chiare: chiunque fosse caduto nelle mani delle Forze di