Page 283 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il periodo da Coordinatore del servizio di sicurezza
postamento protratto per settimane e settimane, senza dir nulla a nessuno – perché
questa è l’altra chiave di volta, la riservatezza assoluta – ha consentito effettivamente
molto spesso di raggiungere il risultato, senza essere preceduti prima da notizie stam-
pa o qualcuno che volesse far sapere di saperne di più, di essere produttore di dati e
così via. Questa riservatezza gli uomini l’hanno raccolta e garantita in pieno: non c’è
stato un uomo – lo debbo sostenere – un solo uomo che abbia dato notizia ad un altro
di qualche cosa che potesse riguardare un’operazione; una operazione comportante
anche dei rischi per dei colleghi, oltre che personali; rischi, soprattutto, per il successo
o l’insuccesso dell’operazione. E la riservatezza la considero ancora oggi, alla base di
qualsiasi operazione di polizia giudiziaria, anche la più banale; perché credo che la
nostra Collettività rifiuti il «safari» con il piede sulla testa del leone: non fotografie di
successi di caccia, non interviste, non – e so di aver pagato anche questo – cedere alla
tentazione di rettifiche o smentite. Però credo di aver fatto ugualmente il mio dovere, 279
nel senso che era da garantire una conduzione che fosse coerente nei modi, costante nel
tempo e di esempio agli stessi uomini, che avevo l’orgoglio di avere alle dipendenze. Ma
potevo anche aspirare, con un po’ di presunzione, a dare qualche esempio, attraverso
questo modo di procedere, ad altri ambienti, ad altri settori; con questo nostro modo
di vivere, da vecchi ufficiali di Polizia Giudiziaria (anche se personalmente non lo sono
più di fatto), certamente ai miei dipendenti Ufficiali di Polizia Giudiziaria, un esempio
ritengo di aver dato dal punto di vista operativo e funzionale. Tale ricerca esasperata
del silenzio. Mentre si andava a porre in essere un duplice ordine di valori: quello della
penetrazione del fenomeno (penetrazione nel senso culturale, nel senso conoscitivo)
e l’altro, là dove possibile, dell’infiltrazione, che deve essere consentita a chi pratica
la guerriglia e la controguerriglia. Non si può a tal punto esasperare l’etica, da non
accettare – come facevano finanche i Babilonesi – che l’infiltrato nel campo avversario
sia, diciamo così, un successo garantito. Non è l’avversario stesso, il mercenario, non è
l’infiltrato che sappia di “do ut des” soltanto: molte volte ci può essere anche l’infiltrato,
che lo fa come Sottufficiale dei Carabinieri. Lo fa anche lui l’infiltrato, ma lo può fare
anche il mercenario, anche il combattente, anche colui che intende distruggere l’avver-
sario. Bene, questo sistema dell’infiltrato ha condotto sovente a partire da conoscenze
di due, tre persone per arrivare a venti e anche a quaranta. E – vorrei precedere, se
mi è consentito, qualche domanda – in queste settimane, in questi mesi di indagini, è
certo (non vorrei spendere la parola d’onore, perché gradirei essere creduto così) che,
a conoscenza di chi dirigeva, non è stato commesso alcun delitto, almeno contro la
persona. Se le settimane si sono succedute perché lo sviluppo dell’operazione, nella
sua economia generale, imponeva necessariamente di tacere e di non recidere quello
che occasionalmente o nei primi passi si era raccolto, era perché si doveva arrivare
per gradini; perché come loro intuiscono, l’infiltrato non si infiltra tra i capi, ma su di
una base e poi, attraverso questa, godendo di fiducia guadagnata giorno per giorno e
posso assicurare che, prima di costruire un infiltrato passano anche per lui dei mesi,
perché bisogna non solo guadagnare la fiducia, non solo garantirlo nella sua incolumi-
tà, non solo far sì che penetri un ambiente che forse non del tutto è a lui conosciuto,
seppur conosciuto ne è il linguaggio; e, ciò nonostante non è detto che possa proseguire
nell’interno di questa organizzazione senza incontrare né pericoli per la sua persona,
né che pericoli vengano portati ad altre persone, siano essi rappresentanti delle Forze
dell’Ordine, siano essi cittadini comuni.
Nel prosieguo dell’audizione, il Gen. dalla Chiesa indica nella «mimetizzazione» del proprio
Personale il presupposto della sua strategia di contrasto ai brigatisti, condizione necessaria
per il conseguimento degli obiettivi, sottraendo gli uomini alla conoscenza dell’avversario,
occultandone la reale identità, mistificandone lo stile di vita, scambiando i loro domicili e
le autovetture utilizzate, anche dotandole di targhe non autentiche. In altre parole, si tratta

