Page 286 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
P. 286
alfonso manzo
Codice di Procedura Penale, quello che l’alto Ufficiale dichiara di tenere costantemente
«alla mano». Il caso riguarda Silvano Girotto, detto «Frate mitra», risale al 1974, alla
cui collaborazione con i Carabinieri del Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria si deve la
cattura di Renato Curcio e Alberto Franceschini. Come già descritto analiticamente in
precedenza, il Girotto, prima missionario, poi guerrigliero in centro-America, rientrato
in Italia con una certa notorietà, ulteriormente implementata dal servizio pubblicato del
nuovo «Candido» di Giorgio Pisanò, venne «agganciato» dagli uomini del Gen. dalla
Chiesa, attraverso l’interlocuzione portata avanti dal Capitano dei Carabinieri Augusto
Pignero, affinché entrasse in contatto con le Brigate Rosse. Ciò avvenne su iniziativa
del Dott. Enrico Levati che accompagnò Girotto a Novara, presso l’Avv. Giambattista
Lazagna, ex partigiano difensore di alcuni imputati del gruppo terroristico XXII ottobre
presso il Tribunale di Genova, il quale propiziò un primo incontro con Renato Curcio,
282 una sorta di esame, superato il quale venne fissato un secondo appuntamento cui partecipò
un altro sodale (verosimilmente Mario Moretti). Al termine del terzo incontro, durante
il quale l’ex religioso incontrò Curcio e Franceschini, scatterà la trappola dei Carabinieri
che arrestarono i due capi storici delle BR.
In almeno un’altra occasione, gli uomini del Gen. dalla Chiesa infiltreranno un
estraneo nelle Brigate Rosse, come in occasione dell’operazione «Olocausto», di cui
si è già parlato in precedenza.
La tecnica dell’infiltrato introdotta sin dal 1974 dal Generale, che gli procurerà nel tem-
po critiche e diffidenze al punto tale da attribuirgliene strumentalmente l’utilizzo anche
quando in realtà ciò non avvenne (come nel caso dell’arresto di Azzolini e di Bonisoli),
e che oggi appare patrimonio giuridico comune, rappresenta un’innovazione di portata
epocale, laddove si pensi che la prima norma di legge che introdurrà la figura dell’agente
sotto copertura, inteso quale soggetto che, per motivi di indagine, partecipa all’attività
criminosa altrui al fine di farla fallire e farne arrestare gli autori ovvero controlla e osserva
l’attività illecita altrui, senza poter dare esecuzione al reato, vedrà la luce oltre quindici
anni dopo, con il «Testo Unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza» (art. 97 D.P.R.
n. 309/1990, per poi diffondersi nel contrasto ad altre fattispecie di reato (prostituzione
e pornografia, terrorismo internazionale, crimine organizzato transnazionale, operato
del personale dei Servizi di informazione per la sicurezza nazionale, corruzione). Benché
EGLI, nella stessa audizione, sdogani con tanta naturalezza il ricorso a questa tecnica come
il rimedio più antico del mondo ([…] Non si può a tal punto esasperare l’etica, da non
accettare – come dicevano finanche i Babilonesi – che l’infiltrato nel campo avversario sia,
diciamo così, un successo garantito), non vi è dubbio che tale rivoluzionaria procedura sia
frutto di una profonda conoscenza delle norme di procedura penale, della perfetta efficienza
dei dispositivi incaricati di gestire e tutelare l’infiltrato e, non ultimo, di una condotta etica
che consenta di interrompere l’infiltrazione nel momento in cui la vita dell’operante sia a
rischio ovvero allorquando si abbia il fondato timore che l’organizzazione terroristica stia
per chiedere all’infiltrato una prova di fedeltà consistente nel concorso alla commissione
di delitti anche gravi. Anche questa eticità comportamentale costerà molte critiche al Gen.
dalla Chiesa, accusato di non aver voluto arrestare anche Mario Moretti (in occasione
dell’arresto di Curcio e Franceschini) o gli attribuirà responsabilità che non aveva come
quella di aver utilizzato un terrorista infiltrato in occasione dell’individuazione del covo
di via Monte Nevoso in Milano, scoperto in realtà grazie al suo metodo e alla tenacia
dei suoi uomini, come riferiranno ampiamente nel 2000 i Pubblici Ministeri di Milano,
15
Ferdinando Pomarici e Armando Spataro , che si occuparono del caso.
15 Audizione del 1° marzo 2000 innanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia
e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. A fronte di un atteggiamento
eccessivamente inquisitorio e dubbioso del Presidente della Commissione, Senatore Giovanni Pellegrino,