Page 315 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il periodo da Coordinatore del servizio di sicurezza
Chiesa il quale, ben conoscendo che il perdurare dello stato di isolamento lo avrebbe
ulteriormente fiaccato, evitò di accogliere con tempestività la richiesta del terrorista,
benché fosse consapevole che, dopo il mito dell’imprendibilità, anche quello del
silenzio stesse per sgretolarsi.
Una domenica sera, il 9 marzo 1980, dopo essersi fatto autorizzare al colloquio, il
Generale si recò al carcere di Cuneo, unitamente a un suo collaboratore. La scelta
del giorno festivo e dell’orario serale rispondeva alla logica di non far trapelare al-
cunché circa l’incontro tra il detenuto e il Gen. dalla Chiesa. Durante il colloquio,
pur mantenendo ancora l’atteggiamento di un capo colonna che negoziava con
il comandante del dispositivo avversario, un «capo militare», Peci si sarebbe reso
disponibile a collaborare ma a due condizioni: ottenere la grazia e la possibilità di
espatriare. Durante l’incontro, durato non meno di un paio di ore, il Generale gli
avrebbe spiegato che non avrebbe potuto promettergli l’esaudimento né dell’una né 311
dell’altra richiesta, in quanto indipendenti dai suoi poteri e non contemplati dall’or-
dinamento legislativo allora previsto. Di fatto, non si giunse a nulla di concreto se
non a conoscersi sotto il profilo umano che, per colui che ha a lungo vissuto nella
clandestinità e nell’isolamento, può rappresentare la base su cui costruire qualcos’al-
tro. Anche nel secondo incontro richiesto da Peci, questi cominciò a sbilanciarsi sulla
contropartita che avrebbe potuto offrire e cioè una trentina di nominativi, l’ubicazione
di diversi covi, senza ancora fare riferimento a generalità o indirizzi esatti, ottenendo
come risposta la promessa dell’interessamento del Generale affinché le sue istanze
pervenissero alle Autorità competenti e fossero esaminate benevolmente.
Ed effettivamente il Gen. dalla Chiesa, in occasione dell’audizione dell’8 luglio 1980,
innanzi alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause
della mancata individuazione dei reisponsabili delle stragi, riferirà di aver manifesta-
to, in occasione di una seduta congiunta del Consiglio Superiore della Magistratura:
«come effettivamente di fronte a certi personaggi che riescono a darci la possibilità di
disarticolare, di scardinare l’organizzazione avversaria – non, cioè, per una confessione
da quattro soldi – ma di fronte ad una confessione che mettesse in condizione lo Stato
di uscire vincente e non elemosinante, si poteva andare ad esaminare qualche norma,
qualche intervento che garantisse tre o quattro persone […] Certo è che soltanto dopo
Peci si sono moltiplicati quelli che hanno parlato». È la prima volta che un appartenente
alle Brigate Rosse, peraltro con responsabilità direttive, decide di parlare.
A quel punto, il Gen. dalla Chiesa richiese e ottenne dai Magistrati di Torino il tra-
sferimento del detenuto nel capoluogo piemontese, da eseguirsi il 21 marzo 1980,
nella considerazione che si temeva che le notizie dei colloqui riservati potessero
trapelare. Proprio per evitare di interrogarlo in carcere, approfittando di una sosta
della traduzione di Peci presso la Stazione Carabinieri di Cambiano, il Generale
incontrò nuovamente il detenuto che, questa volta, iniziò una collaborazione piena,
al punto da sorprendere finanche il suo interlocutore. Le copiose dichiarazioni rese
da Patrizio Peci richiesero urgenti accertamenti e verifiche sia per riscontrare la ve-
ridicità e l’affidabilità del collaborante sia per inertizzare prima possibile le centrali
del terrore pronte a colpire. L’esordio del primo verbale di interrogatorio di Patrizio
Peci recitava: «Non credo più nella lotta armata, ne voglio uscire per crearmi una
Chiesa, o altro ufficiale dell’Arma dal medesimo delegato, ad avere colloquio con il detenuto
Patrizio Peci, detenuto nel carcere di Cuneo, senza limitazione alcuna di orari e numero di col-
loqui. Firmato Bruno Caccia, procuratore della Repubblica e Mario Carassi, capo dell’ufficio
istruzione di Torino”. […] All’inizio Peci parlò in qualità di confidente dei carabinieri, non an-
cora collaboratore di giustizia. Vale a dire che i carabinieri non stendevano verbali ufficiali ma
prendevano appunti informali per accertamenti e indagini. Dalla Chiesa e i suoi collaboratori
ci tenevano al corrente di ogni cosa». G. Caselli, Le due guerre. Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e
non la mafia, Melampo, Milano 2009.